LO SCIOPERO DELLE DONNE GIORNO DI FESTA O DI LOTTA?
Caro Aldo, cosa significa festeggiare l’8 marzo? È bene eliminare il termine «festa»: è fuorviante, offensivo e inopportuno. L’8 marzo è, e dev’essere, la giornata che ripercorre la storia delle lotte femminili. Le donne hanno dovuto lottare e, ahimè!, lottano ancora non poco per vedersi riconosciuti quei diritti che agli uomini spettano invece di diritto fin dalla nascita.
Cara Maria Grazia,
I n Spagna la pensano come lei: oggi ci sarà uno sciopero generale, cui parteciperà simbolicamente pure la regina Letizia, oltre alle sindache di Madrid, Manuela Carmena, e Barcellona, Ada Colau. L’obiettivo dei collettivi femministi che hanno lanciato l’idea è dimostrare che senza le donne il Paese si ferma. Il premier Rajoy è contrario, l’opposizione favorevole. Ma il fatto stesso che a guidare le due metropoli spagnole siano due donne, e che il re Felipe abbia voluto cambiare le regole di successione per consentire alla primogenita Leonor di salire un giorno sul trono al suo posto, è significativo dei grandi passi avanti fatti dalle donne spagnole.
Lascio alla sensibilità delle lettrici stabilire se l’8 marzo si debba festeggiare o meno. Di sicuro anche in Italia l’ascesa delle donne in questi anni è stata impressionante. Mestieri per secoli riservati agli uomini sono ora in mani femminili: la maggior parte dei giovani medici e dei giovani magistrati sono donne. Il 60 per cento dei laureati sono donne; ma solo il 30% dei consiglieri d’amministrazione delle imprese sono donne, e lo sono perché c’è una legge che obbliga le aziende quotate a riservare loro spazio. La politica è rimasta indietro rispetto alla società. Queste elezioni non sono state un passo avanti. In Germania tutti i principali partiti, dall’estrema destra all’estrema sinistra, hanno o si stanno dando leader donne. Noi abbiamo il 4 per cento di Giorgia Meloni. Restiamo sotto certi aspetti un Paese maschilista. E le conquiste femminili non sono acquisite per sempre; vanno ribadite a ogni passaggio di generazione. E anche imposte ai nuovi arrivati di cultura islamica, che spesso partecipano di un sistema di valori (non del tutto sradicato neppure in Italia) ancora segnato dalla sottomissione all’uomo.