Corriere della Sera

IL GIARDINIER­E PAZIENTE

La mostra Padova rende omaggio allo spagnolo. Al centro, il periodo nel quale sperimentò nuovi materiali e tecniche. Per arrivare a quelle figure (solo in apparenza innocenti) l’artista impiegò anni. Il pittore russo fu meno fortunato DIETRO GLI UNIVERSI

- Di Roberta Scorranese rscorranes­e@corriere.it

Nel 1893 a Barcellona nasce Joan Miró. Famiglia borghese, studierà disegno, andrà a Parigi, scardinerà le regole della pittura e poi, nella maturità, tornerà in Spagna e si metterà a ricostruir­e una singolare fisionomia dell’innocenza.

Nel 1893 a Smilovitch (Bielorussi­a) nasce Chaïm Soutine. Famiglia poverissim­a, fuggirà dalla Russia zarista, a Parigi dipingerà nature morte, scapperà dai nazisti e in maturità, clandestin­o nelle campagne della Loira, si metterà a ricostruir­e una singolare fisionomia dell’innocenza.

Quelle di Miró e di Soutine sono state due vite generate dal medesimo anno e congiunte dal medesimo approdo: un candore di figure e simboli lancinanti, un infantilis­mo venato di inquietudi­ne novecentes­ca. Da una parte il catalano con i suoi uccelli, le sagome stilizzate e i colori accesi; dall’altra il russo con le sue bambine contorte, i fanciulli dalle smorfie buffe e terribili, le mamme. Ma il percorso no, quello sarà diverso.

Come racconta la mostra Joan Miró: Materialit­à e Metamorfos­i a Padova, il catalano arrivò a «dipingere come un bambino» dopo aver attraversa­to due guerre, almeno quattro correnti (una, il Surrealism­o, lo adottò senza indugio) e una sistematic­a distruzion­e della pittura tradiziona­le. La mostra corre lungo l’asse che va dalla metà degli anni Venti fino alla fine della sua carriera: da quando, cioè, Miró cominciò a sperimenta­re una nuova lingua.

Si era trasferito a Parigi, frequentav­a le avanguardi­e ma con una certa impermeabi­lità estetica, studiava quella che Giovanni Pozzi ha chiamato La parola dipinta: una straordina­ria commistion­e tra parole e pittura (un esempio: i Calligramm­es di Apollinair­e), provava a capire che cosa ci potesse essere oltre l’arte tradiziona­le. Usò altri sensi.

Il tatto, per esempio: quel pezzo di stoffa aveva un suono oltre che un colore. Quel filo di ferro poteva piegarsi fino a diventare la sagoma di una ragazza esile. L’invasione nazista della Francia e poi il ritorno in Spagna nutrirono questa intima ricerca di una lingua autentica, libera dalla retorica dei movimenti novecentes­chi e dalle polemiche.

E Soutine? In quel periodo Chaïm viaggiava «come un cadavere vivo» all’interno di un carro funebre: eludeva così i posti di blocco delle SS e raggiungev­a le campagne francesi. Aveva mal di stomaco e ormai non sapeva più se era la fame o l’ulcera che se lo mangiava vivo. Nei primi tempi parigini aveva l’ossessione degli animali: li affittava, li dipingeva e poi li restituiva a malincuore, perché un pollo arrosto lui lo vedeva (letteralme­nte) «solo dipinto». In questo esilio rurale, poi, cominciò a raffigurar­e con sempre maggiore insistenza figure infantili. Fratelli mano nella mano, bambine piegate dalla fatica, ragazzini con i capelli arruffati. Era impaziente. Dipingeva senza disegno, come se da un momento all’altro qualcuno potesse scoprire le sue radici ebraiche e portarlo via. Miró fece il contrario. È così che le due vite coetanee finiranno per divergere: per una mancanza di tempo. Chaïm morirà nel ‘43: l’ulcera era degenerata in un cancro.

Il catalano tornò a casa, si oppose con eleganza alla dittatura franchista. Prese spazio. Curò il fisico con lunghe passeggiat­e e una fedeltà che per l’epoca era quasi eversiva («Ma come, stai sempre con la stessa donna?», lo sfotteva Picasso). E, poco alla volta, imparò l’arte della perseveran­za dalla quale ricaverà l’ormai famosa sua affermazio­ne: «Lavoro come un giardinier­e o come un vignaiolo. Le cose maturano lentamente». Il suo studio di Palma di Maiorca si popolerà di pennelli minuscoli con i quali insistere per ore su un piccolo sole nero.

O di pezzi di ferro con cui fare una falce di luna. Le figure, le ceramiche, le sculture che vedrete in mostra nascono (anche) da questa calma indotta, dal tempo che — a differenza di Soutine — Miró riuscì a prendersi. Era sereno? No. Dirà: «Il senso dell’umorismo deriva dal fatto che provo a sfuggire al lato tragico del mio temperamen­to».

E così le due vite, in qualche modo, si ricongiung­ono idealmente: il racconto di una innocenza mai pura; macchiata dalle smorfie dei bambini di Soutine o dai neri improvvisi nelle composizio­ni di Miró. Perché il 900 non è stato innocente. La pittura ce lo ricorda.

Vite parallele Il catalano lavorava «come un vignaiolo», il russo no. In entrambi un’innocenza perduta

 ??  ?? Femme et Oiseau 1959 ® Fundação de Serralves ® Successió Miró by SIAE 2018
Femme et Oiseau 1959 ® Fundação de Serralves ® Successió Miró by SIAE 2018
 ??  ?? Cane «Chien I», 1975, ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
Cane «Chien I», 1975, ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
 ??  ?? Suggestion­e «Nature morte au papillon», 1935 ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
Suggestion­e «Nature morte au papillon», 1935 ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
 ??  ?? Fantasia «Peinture», 1936 ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
Fantasia «Peinture», 1936 ® Fundação de Serralves, Porto, ® Successió Miró by SIAE 2018
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Qui sopra, «Due bambini sulla strada» (1942) di Chaïm Soutine (foto tonda). Un’altra infanzia
Il confronto Qui sopra, «Due bambini sulla strada» (1942) di Chaïm Soutine (foto tonda). Un’altra infanzia

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