Vick impietoso nella «Manon» tanto innocente
Arivederla oggi al Filarmonico di Verona, la messinscena della Manon Lescaut pucciniana curata da Graham Vick fornisce l’ennesima conferma della statura del regista inglese, lucido e impietoso nel dipingere la durezza e la cattiveria che governa le vicende umane quando una regola viene infranta. Non s’era mai vista una Manon così «innocente» nel voler conciliare passione d’amore e ambizioni sociali, che paga in modo esemplare le proprie «colpe». Talmente esemplare (muore di stenti in una discarica) che lo spettacolo assume proprio la forma di una dura lezione morale alla quale i discenti di un college dovranno assistere. Un gesto poetico — la «studentessa» che getta una stella filante sul cadavere di lei — non riscatta il male del ricatto, del possesso, del potere. Lascia però un barlume di speranza. Duro, acido, esemplare a sua volta ma anche commovente è questo spettacolo. Permanentemente contemporaneo.
Si squaderna però in una veste esecutiva modesta, perché Francesco Ivan Ciampa la governa come se Manon fosse una Cavalleria come tante: sguaiata, pesante, veristica in quel modo in cui nemmeno le opere davvero veristiche si vogliono più ascoltare. In più sta al direttore correggere la vocalità generosa ma stilisticamente fuori registro di un tenore potenzialmente bravo come Sung Kyu Park, mentre Francesca Tiburzi svetta negli acuti ma fatica ad appoggiare il suono nei medi. Anche i coprotagonisti Elia Fabbian e Romano Dal Zovo non garantiscono il meglio. Però applausi.