La proposta dell’editore Mauri «Milano o Torino? Sì a un Salone ad anni alterni»
Il sindaco Sala: dobbiamo collaborare con il Salone Proposta di Stefano Mauri: all’estero si fa così
Conforta tutti il vociare dei bambini negli ampi corridoi di Fieramilanocity, dove dominano i grandi stand dei grandi editori. Fiducia (alimentata dal fatto che, nel corso della giornata, le sale degli incontri si riempiono) e toni bassi sono la cifra della seconda edizione di Tempo di Libri, che si è aperta ieri con il taglio del nastro da parte della piccola Sofia. I politici non ci sono, impegnati a Roma in altre imprese, i discorsi ufficiali sono ridotti a zero. Ricardo Franco Levi si limita a leggere il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che loda il coraggio delle case editrici faticosamente impegnate a investire nella cultura. La disputa Milano-torino non ha i toni accesi dello scorso anno (anche Federico Motta, l’ex presidente dell’aie che ha guidato lo strappo, confida di avere come unico rammarico di non «avere insistito» con il Salone) ma il tema di che cosa succederà in futuro c’è.
Se il presidente Ricardo Franco Levi, grande rimbalzatore di polemiche, e il direttore Andrea Kerbaker sono completamente concentrati su questa edizione, il sindaco Giuseppe Sala avverte che «la fiera dell’insulto non va bene e non porta da nessuna parte» anche se, naturalmente, spera che «questa sia l’edizione che lancerà Milano al centro dell’editoria e della lettura». Con Torino, dice «non c’è niente di personale, ma bisogna trovare forme di collaborazione. Tempo di Libri diventerà un riferimento degli eventi milanesi». Da Torino risponde l’assessora alla Cultura, Francesca Leon: «Qualsiasi dialogo deve partire da questo assunto: il Salone internazionale del Libro è Torino».
Sulle forme di collaborazione possibili ha un’idea precisa Stefano Mauri, presidente e amministratore delegato del gruppo Gems: «L’ideale sarebbe quello che già succede in Paesi come Spagna, Brasile e Stati Uniti: fare la fiera un anno in una città, un anno nell’altra». Insomma più che un Mi-to, una vera alternanza. «Questo non piace agli enti fieristici, perché ognuno la vorrebbe per sé, ma sarebbe la soluzione migliore per editori, autori e lettori». E anche per le città. «La formula biennale — spiega Mauri — amplificherebbe la portata locale dell’evento, gli editori avrebbero un costo solo e gli autori un grande pubblico». Dell’idea non si è ancora parlato a livello di Associazione italiana editori e per ora non è in agenda con Torino. Mauri è consapevole della difficoltà ma certo una cordata di editori favorevoli potrebbe darle sostanza e metterla sul tavolo. «Sicuramente non è di facile realizzazione, soprattutto per gli enti fiera, ma è comunque meglio che dover rinunciare all’una o all’altra».
L’anno scorso il Salone di Torino è andato benissimo e alla conferenza stampa di presentazione il presidente Massimo Bray ha assicurato che si farà anche l’edizione 2019. «Ma — dice ancora Mauri — stanno emergendo ora le difficoltà che avevano spinto l’aie, lo scorso anno, a farsi carico, forse troppo precocemente, dei problemi». Il tema dei costi per gli editori è uno dei principali. «Se si mettono insieme le spese di viaggio, quelle degli stand e il resto non si può guadagnare».
Su questo, e sulla necessità di una sintesi tra le due manifestazioni, è d’accordo Enrico Selva Coddè, amministratore delegato di Mondadori Libri Trade: «La mia posizione è sempre la stessa, l’ho espressa più volte. Mi aspetto che in Italia succeda quello
che succede in tutto il mondo: un’unica grande fiera dell’editoria, guidata dall’associazione degli editori». A Torino il gruppo Mondadori, come Gems, quest’anno tornerà a portare i suoi stand (il che costringerà il Lingotto a ridisegnare il layout dello scorso anno) ma l’ideale, per Selva, sarebbe «un progetto che metta insieme la grande tradizione di Torino e le potenzialità di Milano. Il costo di queste manifestazioni difficilmente si ripaga con la vendita dei libri. È vero, l’anno scorso Tempo di Libri è andata male, ma partecipare a una fiera è sempre un investimento e non si fa per guadagnarci con le vendite dello stand. Si fa per la promozione, per la presenza. L’anno scorso tutto ciò che è successo ha probabilmente aiutato il Salone a reagire. Quest’anno la fiera di Milano andrà meglio dell’anno scorso per motivi oggettivi: le date, l’organizzazione, le scuole, l’apertura serale, il luogo centrale dove si fa».
La scarsa presenza, soprattutto se paragonata allo spicchio di programma annunciato da Nicola Lagioia per il Salone, di grandi nomi stranieri (a cui si aggiungono le defezioni di Roddy Doyle e Luis Sepùlveda) non indica che, sotto sotto, anche i grandi guardano con più interesse verso il pubblico di Torino: «Dipende solo — spiega Selva — dalla programmazione dei libri in uscita. Il calendario di aprile-maggio è più fitto di quello di marzo. E d’altronde noi a Tempo di Libri portiamo John Grisham (oggi, ndr), che non è certo un nome di poco conto».