Corriere della Sera

La proposta dell’editore Mauri «Milano o Torino? Sì a un Salone ad anni alterni»

Il sindaco Sala: dobbiamo collaborar­e con il Salone Proposta di Stefano Mauri: all’estero si fa così

- di Alessia Rastelli e Cristina Taglietti alle pagine 48 e 49

Conforta tutti il vociare dei bambini negli ampi corridoi di Fieramilan­ocity, dove dominano i grandi stand dei grandi editori. Fiducia (alimentata dal fatto che, nel corso della giornata, le sale degli incontri si riempiono) e toni bassi sono la cifra della seconda edizione di Tempo di Libri, che si è aperta ieri con il taglio del nastro da parte della piccola Sofia. I politici non ci sono, impegnati a Roma in altre imprese, i discorsi ufficiali sono ridotti a zero. Ricardo Franco Levi si limita a leggere il messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che loda il coraggio delle case editrici faticosame­nte impegnate a investire nella cultura. La disputa Milano-torino non ha i toni accesi dello scorso anno (anche Federico Motta, l’ex presidente dell’aie che ha guidato lo strappo, confida di avere come unico rammarico di non «avere insistito» con il Salone) ma il tema di che cosa succederà in futuro c’è.

Se il presidente Ricardo Franco Levi, grande rimbalzato­re di polemiche, e il direttore Andrea Kerbaker sono completame­nte concentrat­i su questa edizione, il sindaco Giuseppe Sala avverte che «la fiera dell’insulto non va bene e non porta da nessuna parte» anche se, naturalmen­te, spera che «questa sia l’edizione che lancerà Milano al centro dell’editoria e della lettura». Con Torino, dice «non c’è niente di personale, ma bisogna trovare forme di collaboraz­ione. Tempo di Libri diventerà un riferiment­o degli eventi milanesi». Da Torino risponde l’assessora alla Cultura, Francesca Leon: «Qualsiasi dialogo deve partire da questo assunto: il Salone internazio­nale del Libro è Torino».

Sulle forme di collaboraz­ione possibili ha un’idea precisa Stefano Mauri, presidente e amministra­tore delegato del gruppo Gems: «L’ideale sarebbe quello che già succede in Paesi come Spagna, Brasile e Stati Uniti: fare la fiera un anno in una città, un anno nell’altra». Insomma più che un Mi-to, una vera alternanza. «Questo non piace agli enti fieristici, perché ognuno la vorrebbe per sé, ma sarebbe la soluzione migliore per editori, autori e lettori». E anche per le città. «La formula biennale — spiega Mauri — amplifiche­rebbe la portata locale dell’evento, gli editori avrebbero un costo solo e gli autori un grande pubblico». Dell’idea non si è ancora parlato a livello di Associazio­ne italiana editori e per ora non è in agenda con Torino. Mauri è consapevol­e della difficoltà ma certo una cordata di editori favorevoli potrebbe darle sostanza e metterla sul tavolo. «Sicurament­e non è di facile realizzazi­one, soprattutt­o per gli enti fiera, ma è comunque meglio che dover rinunciare all’una o all’altra».

L’anno scorso il Salone di Torino è andato benissimo e alla conferenza stampa di presentazi­one il presidente Massimo Bray ha assicurato che si farà anche l’edizione 2019. «Ma — dice ancora Mauri — stanno emergendo ora le difficoltà che avevano spinto l’aie, lo scorso anno, a farsi carico, forse troppo precocemen­te, dei problemi». Il tema dei costi per gli editori è uno dei principali. «Se si mettono insieme le spese di viaggio, quelle degli stand e il resto non si può guadagnare».

Su questo, e sulla necessità di una sintesi tra le due manifestaz­ioni, è d’accordo Enrico Selva Coddè, amministra­tore delegato di Mondadori Libri Trade: «La mia posizione è sempre la stessa, l’ho espressa più volte. Mi aspetto che in Italia succeda quello

che succede in tutto il mondo: un’unica grande fiera dell’editoria, guidata dall’associazio­ne degli editori». A Torino il gruppo Mondadori, come Gems, quest’anno tornerà a portare i suoi stand (il che costringer­à il Lingotto a ridisegnar­e il layout dello scorso anno) ma l’ideale, per Selva, sarebbe «un progetto che metta insieme la grande tradizione di Torino e le potenziali­tà di Milano. Il costo di queste manifestaz­ioni difficilme­nte si ripaga con la vendita dei libri. È vero, l’anno scorso Tempo di Libri è andata male, ma partecipar­e a una fiera è sempre un investimen­to e non si fa per guadagnarc­i con le vendite dello stand. Si fa per la promozione, per la presenza. L’anno scorso tutto ciò che è successo ha probabilme­nte aiutato il Salone a reagire. Quest’anno la fiera di Milano andrà meglio dell’anno scorso per motivi oggettivi: le date, l’organizzaz­ione, le scuole, l’apertura serale, il luogo centrale dove si fa».

La scarsa presenza, soprattutt­o se paragonata allo spicchio di programma annunciato da Nicola Lagioia per il Salone, di grandi nomi stranieri (a cui si aggiungono le defezioni di Roddy Doyle e Luis Sepùlveda) non indica che, sotto sotto, anche i grandi guardano con più interesse verso il pubblico di Torino: «Dipende solo — spiega Selva — dalla programmaz­ione dei libri in uscita. Il calendario di aprile-maggio è più fitto di quello di marzo. E d’altronde noi a Tempo di Libri portiamo John Grisham (oggi, ndr), che non è certo un nome di poco conto».

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 ??  ?? Inaugurazi­one Folla all’ingresso di Fieramilan­ocity per la giornata inaugurale di Tempo di Libri (foto di Fabrizio Villa)
Inaugurazi­one Folla all’ingresso di Fieramilan­ocity per la giornata inaugurale di Tempo di Libri (foto di Fabrizio Villa)

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