I dazi di Trump «Flessibili» con gli amici
Rincarano acciaio e alluminio. Nessuno sconto all’ue, ma «misure alternative». L’italia tra i Paesi più colpiti
Il presidente Trump ieri ha firmato l’ordine esecutivo che impone tariffe aggiuntive del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Nessuno sconto all’unione Europea, ma solo la possibilità «caso per caso» di concordare misure alternative.
WASHINGTON Per ora nessuno sconto all’unione Europea. Solo l’ambigua possibilità di concordare, «caso per caso» quali «misure alternative» adottare al posto dei dazi. Donald Trump, comunque, ieri ha firmato l’ordine esecutivo che impone tariffe aggiuntive del 25% sull’acciaio e del 10% sull’alluminio. Saranno esenti Canada e Messico. Ma gli Stati Uniti porteranno la questione nel negoziato, già impervio, sul nuovo Nafta, l’accordo sul trade tra i tre Paesi.
La pressione della diplomazia europea a Washington, dunque, ha ottenuto quella che lo stesso Trump ha definito «flessibilità». Nel concreto, dovranno essere gli ambasciatori a Washington dei singoli Paesi a bussare alle porte della Casa Bianca e chiedere di sostituire i sovrapprezzi doganali con altri provvedimenti. Per esempio: una diminuzione della quota esportata o l’aumento dell’import dagli Usa. È una prospettiva che non può essere accettata da Bruxelles. La politica commerciale è una delle materie di diretta competenza comunitaria. Già nel pomeriggio, prima ancora dell’annuncio ufficiale, il vicepresidente della Commissione europea Jyrki Kaitanen, aveva precisato: «Se cercano di fare un’eccezione per uno dei nostri Stati membri, devono farla per tutti». I Paesi europei più colpiti sono dodici. In ordine di grandezze in gioco: Germania, Olanda, Italia, Svezia, Spagna, Francia, Regno Unito, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Finlandia e Polonia.
L’organo esecutivo della Ue ha già predisposto un elenco di merci made in Usa da penalizzare, per un controvalore di 2,8 miliardi di euro. Ma Trump non si ferma. Inutile anche la lettera aperta firmata da circa 100 parlamentari repubblicani. Alle 15.30 (le 21.30 in Italia), il presidente si presenta in diretta tv: «Non abbiamo scelta. È una questione di sicurezza nazionale. Se non hai acciaio, non hai il Paese. Siamo stati trattati molto male da altre nazioni. Abbiamo accumulato 800 miliardi di dollari di deficit commerciale. È ora di cambiare».
Il leader americano ha invitato un folto gruppo di lavoratori siderurgici alla cerimonia della firma alla Casa Bianca. Si è rivolto a loro come agli interlocutori principali: «Ho mantenuto la promessa che avevo fatto in campagna elettorale. E sono qui anche grazie a voi. Abbiamo perso negli anni un terzo di dipendenti nel settore dell’acciaio e due terzi delle società che operano nell’alluminio hanno chiuso». Nella mattinata Trump era stato più aspro, puntando soprattutto la Germania: «Abbiamo amici e anche dei nemici che si sono approfittati di noi su commercio e difesa. Prendete la Nato. La Germania paga l’1% e noi invece il 4,2% su un pil molto più grande. Questo non è giusto».
In realtà l’obiettivo della manovra è soprattutto la Cina. Il segretario al Commercio, Wilbur Ross, ha condotto un’indagine sulle «pratiche scorrette» adottate da Pechino. L’amministrazione americana teme la sovrapproduzione degli impianti orientali. Lo stesso Trump ha insistito sul punto: «Ho molto rispetto per il presidente Xi Jinping e abbiamo una grande relazione. Ma abbiamo anche un deficit commerciale di 500 miliardi di dollari. Dobbiamo fare qualcosa. In un mese i cinesi producono la stessa quantità di acciaio che qui mettiamo insieme in un anno».