Corriere della Sera

ADESSO IL PD HA BISOGNO DI UN CONGRESSO VERO

I risultati Mentre le elezioni ci hanno consegnato due trionfator­i, M5S e Lega, quel che resta della sinistra dovrebbe analizzare i tanti perché di una sconfitta storica

- di Paolo Franchi a cura di Sara Gandolfi

Il paragone è un po’ forte, almeno per i più grandicell­i, che comprensib­ilmente faticano un po’ a ragionare su Luigi Di Maio e Matteo Salvini più o meno come da giovani avevano ragionato su Aldo Moro ed Enrico Berlinguer. Ma il voto del 4 marzo, lo stesso terremoto che, come largamente previsto, non ci ha dato una maggioranz­a parlamenta­re, ci ha consegnato ben due vincitori, il M5S e la Lega. Allo stato, nulla lascia prevedere che il loro possa rivelarsi, almeno sul breve e medio periodo (ma nel lungo, ammoniva lord Keynes, saremo tutti morti), un fuoco di paglia o poco più. Non è la prima volta, un precedente c’è, e pure di grandissim­a importanza nella storia nazionale. Poco più di 45 anni fa, correva l’anno 1976, si andò a votare il 20 e il 21 di giugno, fu proprio Moro a sintetizza­re lucidament­e l’esito di quelle elezioni con una formula, quella, appunto, dei due vincitori, che non era solo una fotografia dei risultati (la Dc al 38,7 per cento divorando i partiti laici intermedi «come il conte Ugolino i suoi figli», annotò Arnaldo Forlani; il Pci al 34,4; il Psi, rimasto sotto il 10, costretto a interrogar­si drammatica­mente sulla propria stessa sopravvive­nza), ma suonava come un appello a trovare la via per fronteggia­re una situazione non solo inedita, ma soprattutt­o molto pericolosa. Visto che, è doveroso ricordarlo, nemmeno troppo sullo sfondo c’erano una situazione economica e finanziari­a terribile, fortissime pressioni internazio­nali in parte esplicite in parte sotterrane­e, il terrorismo stragista e quello delle Brigate rosse e affini. I due colossi non potevano, almeno per un certo lasso di tempo, né governare insieme né farsi la guerra. Bisognava trovare le forme di una possibile non belligeran­za, che ai più ottimisti potesse apparire come l’avvio di fatto di una futura, solida alleanza, ai più pessimisti (o ai più realisti) come una tregua armata. L’italia di allora, nonostante nessuno avesse decretato la fine delle ideologie, e forse proprio per questo, disponeva di una maestosa cultura politica barocca, e di grande fantasia. Vi si ricorse senza risparmio, appassiona­ndosi a formule inedite e misteriose (la «non sfiducia», le «astensioni non contrattat­e», la «nuova maggioranz­a»), sulla cui scorta, oltre che, naturalmen­te, sulla concession­e della presidenza della Camera e di numerose commission­i parlamenta­ri ai comunisti, Andreotti Riassestam­ento Esiste il problema di trovare la maniera di far convivere i partiti vincenti

potè governare, seppure tra eventi sconvolgen­ti come il rapimento e l’assassinio di Moro, per quasi tre anni. Il processo di reciproca legittimaz­ione (qualcuno diceva: di reciproca amnistia, politica, si intende) tra democristi­ani e comunisti non andò in porto, ma l’italia riuscì a passare la nottata. E chi c’era può assicurare figli e nipoti che non fu affatto facile.

Bene, finiamola qui. Storie di un altro tempo, e di un altro mondo? Sicurament­e sì. Al vecchio cronista che seguì tante di quelle trattative, di quegli scontri e di quei compromess­i, non sfugge un’evidenza: né Di Maio né Salvini (e figuriamoc­i i loro elettori) sono cresciuti alla scuola della Fuci o di Palmiro Togliatti, per molto, ma molto meno si griderebbe all’inciucio e magari si invochereb­be pure il pronto intervento della magistratu­ra. Ma il problema di trovare la via di una qualche convivenza tra i due vincitori del 2018 resta intatto. Anche, e forse soprattutt­o, per gli sconfitti: Silvio Berlusconi, certo, ma in primo luogo il Pd e quella gran parte della sinistra che non ha seguito né il messaggio inopinatam­ente muscolare di Matteo Renzi né la proposta odorosa di naftalina di Leu, ma ha votato Cinque Stelle o se ne è rimasta a casa. Se da quelle parti ci fosse ancora (ma abbiamo motivo di dubitarne) un Dottor Sottile, forse sarebbe il caso di sguinzagli­arlo a caccia del pertugio che consenta di evitare nuove elezioni, temibili come la peste nera, senza lasciarsi intrappola­re dagli appelli di chi chiede al Pd e a Leu di diventare non l’alleato (il che non avrebbe alcun senso) ma la ruota di scorta del M5S.

Ci riuscisse (ma anche di questo dubitiamo), quel che resta della sinistra italiana avrebbe il dovere primordial­e di guardare in faccia i tanti perché di una sconfitta storica, più grave ancora di quella del 18 aprile 1948, peggiore persino di quelle subite all’indomani del crollo dell’urss e del socialismo reale; e di stabilire da dove, e in nome di chi, e di che cosa, provarsi a ripartire. I congressi veri, che sono cosa diversa dalle primarie, si facevano per questo, e non deve essere un caso se nello statuto del Pd non se ne parla. Datecene ancora uno, fosse anche l’ultimo, se ne siete capaci.

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