L’ORDINE DEL TRIBUNALE A GIORNALI E SITI: SENTIRE L’ALTRA CAMPANA
Sequestrare in sede cautelare una testata giornalistica o inibire un articolo, mai e poi mai. Ma per la prima volta il Tribunale civile di Milano — con una ordinanza firmata dal suo presidente Roberto Bichi con la relatrice Martina Flamini e la giudice Loretta Dorigo, e in parziale scostamento dalle Sezioni Unite di Cassazione penali del 2015 e civili del 2016 — ammette che il giudice civile, come ricorso d’urgenza (art. 700 c.p.c.), possa arrivare a ordinare a un giornale o a un sito online «un “aggiornamento” della notizia» lamentata da qualcuno come lesiva: in modo che, a quanti chiedono una rettifica non pubblicata, subito sia «garantito il diritto di far conoscere al lettore la “loro verità”, informandolo dell’esistenza di elementi ulteriori e contrastanti, di “voci contrarie”, della “verità soggettiva” della persona, di successivi sviluppi d’indagine».un avvocato, citato da l’espresso nei «Panama Papers», aveva fatto reclamo contro il no della I sezione civile a una tutela cautelare rispetto all’articolo asserito diffamatorio: e ora il collegio apre alla possibilità di imporre subito alle testate «rimedi di tipo integrativo e correttivo, che, peraltro, svolgono un ruolo di promozione del pluralismo (art. 21 Cost.)». E ciò per una ragione: perché «il carattere pervasivo e diffusivo» dell’online, «e la sua idoneità a causare danni potenzialmente irreparabili», di fatto «precludono la tutela effettiva di un diritto fondamentale» se la si rimandasse solo alla fase di merito nella quale i danni potrebbero essersi ormai «consolidati irreversibilmente». Da qui l’opzione per un intervento già anche cautelare. Che, nel caso di specie, il Tribunale non adotta perché, nel frattempo, già il settimanale ha spontaneamente scelto di inserire un link con le precisazioni dell’interessato.