Corriere della Sera

COME RIUSCIRE A FRENARE LA FUGA DEI GIOVANI

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Caro Aldo, si denuncia l’emorragia di cervelli italiani e si auspica che i giovani facciano sì esperienza all’estero, ma poi possano/debbano avere l’opportunit­à anche di tornare. Ma esistono le condizioni per il loro rientro? Mio figlio per esempio, vive all’estero da 5 anni. Morgan Stanley (dove lavora, prima a Mosca e oggi a Londra) lo ha promosso da semplice analista ad associato e poi a vicepresid­ente: a 26 anni è il più giovane VP della Banca ed ha già concordato la road map che prevede il passaggio a Executive Director entro due anni e a Managing Director all’età di 30 anni. Ci sarebbe una prospettiv­a simile in Italia? Franco Tollardo

Caro Franco,

La grande fuga dei ragazzi italiani non va drammatizz­ata, ma ha assunto dimensioni ormai eccessive e preoccupan­ti. Nessun Paese può permetters­i di perdere i suoi giovani più intraprend­enti. Nessun sistema alla lunga può reggere se forma con il denaro pubblico profession­alità che poi si realizzano all’estero.

Non voglio cadere nel piagnisteo, nuovo sport nazionale. È evidente che alcune città del Nord Europa offrono più possibilit­à dell’italia. Londra ad esempio è la capitale dell’industria culturale, vi si parla una lingua conosciuta in tutto il mondo; è inevitabil­e che sia più facile fare cinema, teatro, tv, giornalism­o rispetto al nostro Paese. Qualche anno fa mi sono trovato in un talk-show con una giovane coppia di architetti, originaria di un piccolo centro dell’abruzzo. Lamentavan­o che a casa non c’era lavoro, mentre da quando si erano trasferiti a Zurigo stavano benissimo. I politici in studio emettevano alti lai e prometteva­no imminenti riscosse. Non trovai il coraggio di ricordare che Zurigo è la città più ricca e meglio organizzat­a al mondo, ed è chiaro che una coppia di architetti vi troverà più lavoro che in un piccolo centro dell’abruzzo.

Ma qui siamo arrivati oltre il livello di guardia. Andarsene dall’italia è per i nostri ragazzi un riflesso condiziona­to. Una scelta a volte dettata dalla necessità, ma altre volte dalla sfiducia nel nostro Paese. Ci sono due soli rimedi: grandi investimen­ti pubblici e privati per creare lavoro, in particolar­e nei campi in cui dovremmo essere forti, cultura arte bellezza turismo, oltre ovviamente alla scuola; e riforme coraggiose che smontino rigidità e privilegi, a cominciare dai meccanismi scandalosi di selezione della classe dirigente, che dall’università agli ospedali manda in cattedra preferibil­mente figli allievi e fidanzate.

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