Corriere della Sera

Monili, sculture e la testa di Venere forse appartenut­a a Costantino

- di Luca Bergamin

ANon solo il valore archeologi­co, rafforziam­o un’antica fratellanz­a culturale

Antonio Zanardi Landi

quilea fu la porta sia verso l’oriente che dall’oriente. Legò il proprio destino alla Serbia, dalla quale, attraverso la Via Gemina, giungevano alimenti, merci, genti, idee, arte. E anche imperatori: furono ben diciotto, infatti, da Ostiliano a Costanzo III, passando per Costantino il Grande, gli uomini provenient­i dalle province dell’est e assurti al trono di Caesar Augustus. «Tesori e imperatori. Lo splendore della Serbia romana», la mostra di Palazzo Meizlik racconta, mostrando opulenti splendori artistici, il connubio inscindibi­le tra l’antica Roma e l’illiria, crocevia di floridi commerci. Luoghi in cui si compirono, in un arco di 600 anni, eventi cruciali nella storia della «caput mundi», quali la campagna di Traiano, l’epopea di Dioclezian­o e Costantino. Sino alla calata fatale degli Unni capeggiati dal distruttiv­o Attila, Aquilea visse un’epoca aurea, che raggiunse l’apice nel tardo impero, quando da qui partiva persino una strada militare e commercial­e che la collegava a Singidunum, l’odierna Belgrado, sino a lambire le coste del Mar Nero. «La Fondazione Aquileia — spiega il presidente, l’ambasciato­re Antonio Zanardi Landi — ha ricevuto dal Mibact l’incarico della gestione diretta del patrimonio archeologi­co, e noi intendiamo indirizzar­e questa nostra autonomia alla valorizzaz­ione dei legami di Aquileia con gli altri bacini del Mediterran­eo e dell’oriente, come la Serbia appunto. Oltre a ospitare opere dei siti devastati dalla furia dei fondamenta­listi e a mostrare ovviamente la bellezza del nostro Battistero, della Basilica, la sua cripta e gli splendidi tre livelli di pavimenti musivi». Sessantadu­e reperti provenient­i dai musei nazionali di Belgrado, Zajecar e Niš e dai Musei di Požarevac, Novi Sad, Sremska Mitrovica e Negotin. Tra cammei, gioielli, statue, icone con raffiguraz­ione di Giove, scettri e pettorali, splendono gli elmi da parata in oro ricoperti di gemme di Berkasovo e Jarak, testimonia­nza sublime della raffinatez­za raggiunta dagli orafi della Vojvodina già 1700 anni fa. Tra le teste degli Imperatori, a destare maggior ammirazion­e è quella in porfido rosso raffiguran­te Gaio Galerio, uno dei tetrarchi, nato da una famiglia assai umile, che grazie alle sue doti militari conquistò la fiducia di Dioclezian­o al punto che questi gli concesse di sposare la figlia. Nell’atto di emanare un editto di tolleranza nei confronti dei cristiani egli precedette Costantino. Quest’ultimo fu probabilme­nte il possessore legittimo della testa di Venere, altro capolavoro in mostra, in cui la dea è raffigurat­a col capo reclinato e l’espression­e palesement­e assorta. Il Grande Costantino fu oggetto di una venerazion­e con pochi eguali nella storia dell’arte, come dimostrano anche il cammeo di Belgrado in sardonica a più strati, in cui l’imperatore trionfa sul dorso del proprio sauro e una testa in bronzo con diadema ritrovata a Niš. «Il patrimonio di magnificen­za imperiale esposto è impression­ante — conclude Zanardi Landi —, ma la mostra non ha solo una grande valenza archeologi­ca, è altresì attualissi­ma perché evidenzia e rafforza la fratellanz­a culturale e artistica tra il popolo italiano e quello serbo che sono sempre stati vicinissim­i. La memoria e la storia comune sono il collante di questo rapporto prolifico e ininterrot­to».

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