Cultura vivace e nazionalismo Il doppio volto del futuro serbo
I migliori cinefestival, il design, l’hi-tech. Ma restano i fantasmi del passato Quel «fiume della melodia» che ha scritto la Mitteleuropa
Il Danubio è il più grande fiume europeo, 2840 chilometri oppure 2888, a seconda che si voglia dare ragione agli abitanti di Donaueschingen, nel cui territorio ufficialmente sgorga, o al dottor Öhrlein, che voleva dimostrare a suon di carte bollate come il ramo che parte dai suoi poderi a Furtwangen è effettivamente il primo, e più lontano, affluente. Ma il Danubio è molto più di questo, è davvero il fiume dell’europa, la attraversa in lungo, Ulm, Passau, Vienna, Bratislava, Budapest, Belgrado, le pianure pannoniche e le steppe rumene. Meglio ancora, è la pista d’acqua che lega la germanica Foresta Nera al Mar Nero. Forse nessuno l’ha capito così bene come Hölderlin, il genio che reinventò nella rigorosa metrica classica la poesia tedesca. Fiume della melodia, lo chiamò; linguaggio nascosto e profondo degli dei, strada che univa l’europa all’asia, la Germania e la Grecia (!), lungo la quale la poesia e il verbo, nel tempo del mito, erano risaliti a portare il senso dell’essere all’occidente tedesco. Danubio, fiume letterario, caro a Magris, a Joseph Roth, al serbo Crnjanski, al romeno Cioran. Descritto da Erodoto e Strabone. Ma più ancora, per noi nati nel Novecento, il Danubio è un fiume della storia, di un continente tagliato in due, della cortina di ferro che lo rese inadatto al trasporto merci verso nord. Forse le foto più belle scattate al Danubio sono quelle del grande Josef Koudelka, i giganteschi marmi di Lenin che scivolano via sull’acqua, ben legati alle chiatte quando questi simboli sovietici, da un giorno all’altro, erano diventati obsoleti. A meno di non andare sulla foce del fiume, salire in barca come Claudio Magris, e mentre il vento spinge indietro le canne, provare a scattare noi stessi le foto ai cormorani.