Choi l’uomo delle due Coree e la carica dei 25 azzurri Decolla la Paralimpiade
PYEONGCHANG Ci sperava, forse. Aveva anche timore: «Penseranno sia un traditore?». Ripensava a quei giorni passati sui treni della Corea del Nord. «Vuole un gelato?». Pochi a dirgli di sì. Non aveva ancora dieci anni ed era solo. Ora ne ha 30 e veste la maglia di una nazione che non vorrebbe divisa: «Mi basterebbe pensassero che sono un uomo passato attraverso dolori, restituito alla vita grazie allo sport». Si rivolge a quelli che una volta erano i suoi connazionali. Non li rappresenta più. La sua bandiera è un’altra.
Le due Coree entreranno separate alla cerimonia di apertura dei Giochi Paralimpici (ore 12 su Raisport, che seguirà le gare con oltre 90 ore di diretta, quelle notturne su Raidue) che si aprono oggi a Pyeongchang e dove gli azzurri (25 con una guida, ma senza rappresentanza femminile, impegnati in para ice hockey, snowboard, sci alpino e nordico) sfileranno dietro al portabandiera Florian Planker, veterano del ghiaccio, insieme ad altri 567 atleti di 49 nazioni, con la rappresentativa degli Atleti Neutrali Paralimpici (Npa) e senza la Russia, ancora bandita. Non si ripeterà il gesto olimpico. La Corea del Nord partecipa con due atleti nello sci di fondo e oltre venti persone fra dirigenti e accompagnatori. Sarà All’attacco Choi Kwang Hyouk, l’atleta nordcoreano che gareggia per la Corea del Sud alla Paralimpiade, in azione durante un incontro di para ice hockey per la prima volta ai Giochi invernali, dopo il debutto a quelli estivi a Londra 2012, e anche per questo si è deciso di rimanere separati.
Choi Kwang Hyouk sa che quel passato tornerà inevitabilmente nella mente. Ora è uno delle stelle paralimpiche della Corea del Sud nella squadra di para ice hockey, stesse regole di quello giocato in piedi, solo che qui si usa uno slittino con due bastoni per spingersi e colpire il disco. Fino a poco prima dell’adolescenza aveva vissuto dall’altra parte, fra elemosina e violenze. Aveva sette anni quando i suoi genitori divorziarono, lasciandolo alla nonna materna in uno dei periodi più duri della Corea del Nord. Dopo due anni la nonna morì. Rimase solo. Si arrangiava con i gelati. Quel giorno in cui cambiò tutto stava salendo sul tetto, per nascondersi al controllore mentre il treno partiva. «Non avevo il biglietto e non potevo vendere gelati». Lo aveva fatto mille volte. Non riuscì a reggersi come sempre, le ruote gli passarono su una gamba, maciullandola. All’ospedale gliela amputarono. «Se fossi stato in un ospedale di un altro paese non lo avrebbero fatto». Ma era un ragazzino solo che viveva insieme a persone senza casa e dimora, anche molestato da chi avrebbe dovuto proteggerlo, come le forze dell’ordine. La sua disabilità lo portò a essere abbandonato ancor di più: «Nella società nordcoreana c’è una gerarchia in tutto,
Planker alfiere Portabandiera dell’italia il veterano del ghiaccio. In totale 567 atleti di 49 nazioni
anche tra i mendicanti».
Aveva 13 anni e gli venne in soccorso il padre, che riuscì a farlo entrare da clandestino in Corea del Sud. Stava perdendo la sua vita fra fumo e videogiochi, quando incontrò il para ice hockey. Gli salvò la vita. «Voglio essere un esempio per i profughi nordcoreani che non riescono a integrarsi: anche una persona disabile può avere successo».