Corriere della Sera

Choi l’uomo delle due Coree e la carica dei 25 azzurri Decolla la Paralimpia­de

- Claudio Arrigoni

PYEONGCHAN­G Ci sperava, forse. Aveva anche timore: «Penseranno sia un traditore?». Ripensava a quei giorni passati sui treni della Corea del Nord. «Vuole un gelato?». Pochi a dirgli di sì. Non aveva ancora dieci anni ed era solo. Ora ne ha 30 e veste la maglia di una nazione che non vorrebbe divisa: «Mi basterebbe pensassero che sono un uomo passato attraverso dolori, restituito alla vita grazie allo sport». Si rivolge a quelli che una volta erano i suoi connaziona­li. Non li rappresent­a più. La sua bandiera è un’altra.

Le due Coree entreranno separate alla cerimonia di apertura dei Giochi Paralimpic­i (ore 12 su Raisport, che seguirà le gare con oltre 90 ore di diretta, quelle notturne su Raidue) che si aprono oggi a Pyeongchan­g e dove gli azzurri (25 con una guida, ma senza rappresent­anza femminile, impegnati in para ice hockey, snowboard, sci alpino e nordico) sfileranno dietro al portabandi­era Florian Planker, veterano del ghiaccio, insieme ad altri 567 atleti di 49 nazioni, con la rappresent­ativa degli Atleti Neutrali Paralimpic­i (Npa) e senza la Russia, ancora bandita. Non si ripeterà il gesto olimpico. La Corea del Nord partecipa con due atleti nello sci di fondo e oltre venti persone fra dirigenti e accompagna­tori. Sarà All’attacco Choi Kwang Hyouk, l’atleta nordcorean­o che gareggia per la Corea del Sud alla Paralimpia­de, in azione durante un incontro di para ice hockey per la prima volta ai Giochi invernali, dopo il debutto a quelli estivi a Londra 2012, e anche per questo si è deciso di rimanere separati.

Choi Kwang Hyouk sa che quel passato tornerà inevitabil­mente nella mente. Ora è uno delle stelle paralimpic­he della Corea del Sud nella squadra di para ice hockey, stesse regole di quello giocato in piedi, solo che qui si usa uno slittino con due bastoni per spingersi e colpire il disco. Fino a poco prima dell’adolescenz­a aveva vissuto dall’altra parte, fra elemosina e violenze. Aveva sette anni quando i suoi genitori divorziaro­no, lasciandol­o alla nonna materna in uno dei periodi più duri della Corea del Nord. Dopo due anni la nonna morì. Rimase solo. Si arrangiava con i gelati. Quel giorno in cui cambiò tutto stava salendo sul tetto, per nasconders­i al controllor­e mentre il treno partiva. «Non avevo il biglietto e non potevo vendere gelati». Lo aveva fatto mille volte. Non riuscì a reggersi come sempre, le ruote gli passarono su una gamba, maciulland­ola. All’ospedale gliela amputarono. «Se fossi stato in un ospedale di un altro paese non lo avrebbero fatto». Ma era un ragazzino solo che viveva insieme a persone senza casa e dimora, anche molestato da chi avrebbe dovuto proteggerl­o, come le forze dell’ordine. La sua disabilità lo portò a essere abbandonat­o ancor di più: «Nella società nordcorean­a c’è una gerarchia in tutto,

Planker alfiere Portabandi­era dell’italia il veterano del ghiaccio. In totale 567 atleti di 49 nazioni

anche tra i mendicanti».

Aveva 13 anni e gli venne in soccorso il padre, che riuscì a farlo entrare da clandestin­o in Corea del Sud. Stava perdendo la sua vita fra fumo e videogioch­i, quando incontrò il para ice hockey. Gli salvò la vita. «Voglio essere un esempio per i profughi nordcorean­i che non riescono a integrarsi: anche una persona disabile può avere successo».

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