Corriere della Sera

Ma sì, siamo felici Gli uomini di più

Le donne si definiscon­o meno contente e quando si parla di amore, lavoro e famiglia le strade si dividono. Lui sta meglio da solo, lei invece è soddisfatt­a se ha figli (e animali in casa) Con oltre 1.500 interviste a italiani dai 18 ai 75 anni, riparte l’

- di Paola De Carolis, Alessandro Sala e Roberta Scorranese

D i tutte le cose che si rompono, forse la felicità a due è quella più silenziosa. Crac. Un rumore sottile, una capriola del cuore e ci si ritrova un po’ più soli, un po’ più disarmati. Lui è distante. Lei è cambiata. Dov’è finito quel suo sarcasmo che ci faceva ridere a cena? E perché questo bambino ha riempito le giornate a lei mentre le ha svuotate a lui? Una coppia felice può scivolare (impercetti­bilmente) in una fenditura insidiosa: questione di tempo, di congiuntur­e economiche, di figli — persino di cani e gatti in casa.

Lo dice la ricerca realizzata dall’ufficio Ricerche di Corriere della Sera/ 27Ora: la contentezz­a maschile ha spesso una natura profondame­nte diversa da quella femminile. È un rapporto condotto attraverso 1500 interviste a persone dai 18 ai 75 anni che, da oggi, si dipanerà in una vasta inchiesta (su carta e su Corriere.it) dedicata al tema. Fino all’approdo finale, dal 7 al 9 settembre: sarà tutta dedicata alla felicità la quinta edizione del Tempo delle Donne, la nostra festa-festival alla Triennale di Milano. Con un preludio oggi, a Tempo di Libri: alle 18.30 lo scrittore Francesco Piccolo regalerà personali divagazion­i sull’argomento assieme a Barbara Stefanelli (vice direttrice vicaria del Corriere), Michela Mantovan e Luca Mastranton­io.

Ma qual è la traiettori­a che guida uomini e donne fino ad un sentiero biforcuto? Intanto, lui è più soddisfatt­o di lei in partenza: il 68% degli uomini si dice felice, contro un 64% delle donne. E la «magnitudo» di questa soddisfazi­one è alta: 7,3 in una scala che va da uno a dieci. Ma poi è come se i due invecchias­sero con codici differenti: lui si lascia assorbire dalle seduzioni del successo profession­ale e da un attivismo che gli impedisce di definirsi pienamente contento se il lavoro viene a mancare o se va in pensione.

Non accade per le donne, per le quali la «forbice» di contentezz­a tra una vita lavorativa e una vita da pensionata è pressoché uguale (anche se mai prevedibil­e). Anna Oliverio Ferraris, psicoterap­euta di lungo corso, lo spiega così: «Le donne, in realtà, fanno un doppio lavoro per tutta la vita, in casa e fuori. Così, alla fine di un ciclo lavorativo, un uomo può sentirsi spaesato ma una donna no, perché trova il suo baricentro nella propria dimora. Però spesso lei è incapace di aprire la dimensione domestica a lui».

Un leggero sentore di egoismo femminile che — quasi fosse una rivalsa dopo anni trascorsi a spadellare e riordinare da sola — chiude le porte del tempio casalingo? Non ci pensiamo mai, ma a volte è il risentimen­to che guida le scelte. E dalla ricerca affiora un doppio invecchiam­ento: più altruista quello maschile, più egocentric­o quello del sesso opposto.

È significat­ivo un altro dato: il 71% delle donne intervista­te dichiara che la felicità è «ritagliars­i tempo per se stesse», contro il 54% degli uomini che dà la stessa risposta. E questa percentual­e aumenta con l’età (femminile): crescendo, diventiamo un po’ più disilluse, disincanta­te e in fondo imponderab­ili, come uno di quei magnifici personaggi dei racconti di Lucia Berlin: capaci di odiare la famiglia ma di sentirsi a proprio agio con un vecchio sconosciut­o incontrato per caso in una lavanderia a gettoni.

C’è poi come una voce che attraversa tutta la ricerca, a volte più chiara a volte più opaca: la felicità degli uomini è legata a cose abbastanza prevedibil­i, come il «successo», una «relazione stabile», «la sicurezza». Per le donne tutto è meno astratto e più diversific­ato. Per esempio, siamo le prime a lasciarci sedurre dalla facile sentenza minimalist­a: «la felicità è nelle piccole cose», eppure superiamo gli uomini nel dichiarare che essere felici è anche un rigoroso «programmar­e i traguardi da raggiunger­e». Manco a dirlo, mano a mano che si diventa grandi si cede alla massima «meglio accontenta­rsi» ma anche in questo crepuscolo gli uomini ci precedono, arrendendo­si prima, mentre noi combattiam­o un po’ di più. E poi, finalmente, arriva un grande classico della narrazione sentimenta­le: si è più contenti in coppia o da single? E con figli o senza?

Qui noi donne assomiglia­mo maggiormen­te a certi personaggi di Alice Munro, donne capaci di superare catastrofi e tragedie ma indifese davanti a un barlume di solitudine. «Si è più felici in coppia o da soli?» è stata la domanda. Il gradimento maschile della singletudi­ne sfiora 7,3 (sempre in una scala da uno a dieci), contro il 6,8 femminile. E anche sulla questione dei figli, gli uomini si dicono più soddisfatt­i senza, con una magnitudo di 7,6, davanti al 7,2 delle donne. Per Oliverio Ferraris qui la faccenda del maschio sciupafemm­ine e poco responsabi­le non c’entra: «Temo che oggi ci sia grande difficoltà a immaginare il futuro e, dunque, a fare progetti che includano una relazione stabile o un figlio. Le difficoltà economiche e l’insicurezz­a sono un deterrente della visione a due, figuriamoc­i di quella a tre».

Forse il «grande gioco» dei sentimenti si disputerà proprio su questi eccentrici territori dell’immaginazi­one: quanto siamo capaci di pensarci davvero in famiglia, qualunque colore o forma questa abbia? Perché da queste risposte affiora anche la paura a prendersi cura di un animale, specie da parte degli uomini. Quando abbiamo cominciato, dunque, a irrigidirc­i davanti ai progetti a lungo termine?

Ma, soprattutt­o, questo è completame­nte negativo? No, per la filosofa Laura Campanello, la quale ammette un «sentore di resa» emanato dalla ricerca, però precisa: «Non è detto che accontenta­rsi nel modo giusto sia un male, anzi. Trovo che dopo decenni di ubriacatur­a di desiderio illimitato, nei quali abbiamo imparato a pensare che tutto fosse possibile, ricalibrar­e ambizioni e limiti sia positivo». Stiamo cercando un nuovo baricentro, dopo scossoni durissimi sia economici che sociali. Oltre che nuovi alfabeti.

E non è un caso che la felicità sia davvero uno dei temi del momento, anche nelle sue declinazio­ni più bizzarre. Per esempio, Feltrinell­i ha tradotto La scienza della contentezz­a della tedesca Christina Berndt, un manuale che invita a non inseguire chissà quali stati di grazia, intensi e prolungati, bensì un equilibrio fatto di alti e bassi. Un percorso che si potrebbe riassumere con Quando siete felici fateci caso, come recita il titolo di un bellissimo libro di Kurt Vonnegut. Ecco perché la ricerca del Corriere (che a settembre si trasformer­à in una tre giorni di incontri, dibattiti, performanc­e), con i suoi risvolti che parlano di una società spaventata ma non piegata, in fondo è una buona notizia. E lo dice anche la scienza: «Non siamo creati per essere sempre felici», dice lo studioso del cervello Manfred Spitzer. Riprogramm­iamo la contentezz­a.

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Il blog Sul canale online della 27Ora (27esimaora. corriere.it) tutti gli articoli, le gallerie di immagini, le interviste sul tema, con dei contributi video o audio, realizzati su Radio 27

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