TRA CALCOLI ELETTORALI E RICHIAMI ALLA REALTÀ
Sarà una lunga trattativa. E il Quirinale dovrà fare i conti con una voglia malcelata di elezioni anticipate. Le accarezza la Lega di Matteo Salvini, nella speranza di conquistare ciò che rimane dell’elettorato berlusconiano. Non le esclude il Movimento Cinque Stelle, se alla fine dovesse saltare l’ipotesi di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi. E non le vede così male quel pezzo di Pd che sogna di «derenzizzarsi» rapidamente; attestarsi all’opposizione; e poi tornare davanti all’elettorato, magari con Paolo Gentiloni candidato premier e un segretario tipo Graziano Delrio eletto senza più primarie.
Lo schema è invitante quanto scivoloso. Non considera l’inciampo di una legge votata in fretta e furia, nell’ossessione di fermare il M5S. E sottovaluta gli effetti che un’italia senza governo avrebbe a medio termine sui mercati finanziari. Il Paese assumerebbe il profilo ideale del capro espiatorio dell’ue. E scaricherebbe sull’elettorato problemi che spetta alla classe politica risolvere. L’unica speranza è che il radicalismo delle posizioni iniziali si pieghi presto davanti alla realtà.
Anche perché un altro voto ravvicinato saprebbe di scorciatoia, senza portare a una maggioranza certa. La sensazione è che il M5S voglia fortemente formare un esecutivo. È pronto a sacrificare alcuni i ministri presentati prima del 4 marzo. Accederebbe all’idea di cedere una presidenza delle Camere. Ma ha il timore di essere giocato da un improvviso patto tra centrodestra e Pd; e dunque di ripiombare nell’incubo di una coalizione trasversale ostile. Soprattutto, non può accettare che Di Maio non sia premier.
Un governo «di tutti» guidato da qualcun altro contraddirebbe la polemica di cinque anni su un capo del governo non votato dal popolo, con la quale ha messo in croce il Pd. Il fatto che nemmeno Di Maio abbia i numeri per rivendicare Palazzo Chigi, passa in secondo piano. Prima o poi, però, la questione affiorerà. D’altronde, l’ipotesi che il Movimento alla fine sia spinto dai «no» del Pd a ripiegare su un esecutivo con la Lega convince poco. Entrambi i vincitori del 4 marzo sanno che un loro governo senza garanti allarmerebbe l’ue.
Dunque, la possibilità che lentamente la strategia dell’arroccamento ceda il passo a propositi più miti non è da escludersi. Salvini, si rivolge al Pd con toni concilianti: o almeno a quella parte che teme l’opposizione. Ma sarà difficile, per qualche tempo, capire chi tra i dem sia l’interlocutore. E questo, in apparenza, complica la mediazione del capo dello Stato. Sembra di capire che Sergio Mattarella non voglia muoversi prima di avere capito bene quali siano le vere intenzioni dei partiti. Per ora non emergono ancora in modo limpido: sono troppo inquinate da calcoli di parte.
L’equilibrio
Uno stallo che nasce dalla difficoltà per i vincitori di riconoscere che i numeri non sono sufficienti per governare