Trump: servono fatti, poi l’incontro con Kim La Svizzera: venite qui
«Le sanzioni restano». Anche Seul potrebbe ospitare
WASHINGTON Donald e Kim. Il vertice storico si terrà «entro maggio», ma per il resto è tutto da costruire. Su Twitter, Trump è già passato all’incasso politico: «Con i negoziatori di Seul, Kim Jong-un ha parlato di denuclearizzazione, non di un semplice congelamento. Inoltre la Corea del Nord non farà test sui missili in questa fase. Sono stati fatti grandi progressi, ma le sanzioni resteranno in vigore fino a che un accordo non sarà raggiunto».
Gli Stati Uniti, dunque, «manteranno la massima pressione, nulla è cambiato; non abbiamo fatto alcuna concessione e ci aspettiamo che la Nord Corea faccia ora seguire azioni concrete al messaggio consegnato al nostro presidente», ha aggiunto la portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders. Anche la flotta americana continuerà le esercitazioni nella regione.
Trump si è subito messo al telefono per spiegare quale sarà la strategia. Già nel pomeriggio dell’8 marzo, prima di accettare formalmente l’invito ad incontrare il dittatore nordcoreano, ha chiamato Moon Jae-in, presidente della Corea del Sud, protagonista assoluto nell’intera vicenda. Poi ha sentito il premier giapponese Shinzo Abe e, infine, ieri mattina il leader cinese Xi Jinping. Il presidente americano vuole mantenere uno stretto coordinamento con gli alleati e con Pechino.
Con loro, per cominciare, bisognerà discutere dove organizzare il faccia a faccia. È una scelta che deve tenere insieme le fobie di Kim, che non ha mai lasciato il Paese da quando è salito al potere, e il significato simbolico del luogo. La Svizzera si è fatta avanti ufficialmente. «Siamo disponibili e abbiamo rapporti con tutte le parti in causa» ha fatto sapere il ministero degli Esteri elvetico. La città potrebbe essere Ginevra, epicentro della diplomazia mondiale. Un’altra ipotesi potrebbe essere una base sul 38° Parallelo, il confine, «smilitarizzato», tra le due Coree. O, ancora, a Seul, con Moon Jae-in a fare da padrone di casa e da garante. Infine, Pechino, l’alleato vitale di Kim. Tutti scartano le due capitali, Washington e anche Pyongyang, ma con «The Donald» non si sa mai: potrebbe anche accettare di incontrare (l’ex?) «Little Rocket man» nel suo bunker. L’altra sera i consiglieri della Casa Bianca, durante un briefing informale, quasi imploravano i giornalisti: abbiate pazienza, nessuno di noi si aspettava uno sviluppo così rapido e imprevedibile, cominciamo solo ora a lavorare sulla possibile sede del summit.
È stato Kim Jong-un a sparigliare. Su questo non ci sono dubbi. E Trump, a sua volta, rispondendo di fatto in tempo reale, ha spiazzato i suoi advisor e i suoi ministri. L’altra sera il segretario di Stato, Rex Tillerson, in viaggio verso l’etiopia, aveva detto ai reporter che «non c’erano le condizioni per il negoziato». Ieri mattina ha rivelato: «Questa è interamente una decisione del presidente. Ci siamo appena sentiti per telefono: un’ottima conversazione».