Corriere della Sera

Il «soju», due cene e molte incognite La Nord Corea è pronta a rinunciare alle armi?

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

Due cene, una sabato scorso a Washington e l’altra a Pyongyang lunedì, hanno preceduto, preparato e annunciato la svolta che potrebbe disinnesca­re il rischio di conflitto nucleare nella penisola coreana. Durante un banchetto durato quattro ore Kim Jong-un ha comunicato alla delegazion­e sudcoreana la volontà di parlare con gli americani e di rinunciare alle armi nucleari (la seconda disponibil­ità è il cuore del problema e va verificata). L’evento è stato propaganda­to da Nord e Sud, ma ora si scoprono nuovi dettagli degni di nota.

Funzionari governativ­i di Seul hanno raccontato che Kim era di ottimo umore e aveva fatto preparare tutto meticolosa­mente, anche grazie alle informazio­ni ricevute dalla sorella Kim Yo-jong che era stata al Sud a febbraio per il dialogo olimpico. Dalla signora, il Maresciall­o si era fatto spiegare di quali piatti nordcorean­i le avessero parlato gli ospiti sudisti. E al banchetto sono stati proposti: hotpot (una pentola di brodo messa a centro tavola dove si immergono verdure e carne) e spaghetti freddi. «Continuava­no a girare bottiglie di vino, liquore di jinseng e soju», ricordano i sudcoreani.

Tra un brindisi e l’altro Kim ha scherzato e fatto le sue offerte negoziali. Ha mostrato autoironia, dicendosi «assolutame­nte al corrente» della cattiva immagine che ha proiettato all’estero, degli insulti ricevuti da Trump («piccolo uomo razzo», «pazzo», ai quali rispose dando al presidente americano del «dotard», vale a dire «vecchio lunatico e rimbambito»).

A tavola

Con la delegazion­e sudcoreana, il dittatore ha scherzato su Trump e Moon tra vini e liquori

Le immagini della serata di lunedì a Pyongyang mostrano Kim e i sudcoreani che ridevano di gusto. C’è stata anche una battuta sul presidente sudcoreano Moon Jae-in: «Ha passato tempi duri presiedend­o riunioni del consiglio di sicurezza all’alba, ogni volta che lanciavamo uno dei nostri missili», ha giocato Kim promettend­o che, con il dialogo, non succederà più.

Gli inviati sudcoreani si sono fidati troppo di promesse pronunciat­e tra i brindisi alcolici? Donald Trump è astemio. Ma ama fare battute. E quando sabato scorso durante una ce-

Il nodo ispezioni

Se Pyongyang dirà addio al nucleare dovrà aprire il Paese ai controllor­i stranieri

na di gala con i giornalist­i al Gridiron Club di Washington ha detto che «i nordcorean­i hanno telefonato e vedremo, io sono sempre pronto a incontrare Kim», la stampa americana non lo aveva preso troppo sul serio. D’altra parte Trump aveva aggiunto: «Il rischio di trattare con un pazzo? Il problema è suo, non mio».

Che cosa può succedere se a maggio i due nemici si incontrera­nno? Trump esige giustament­e la denucleari­zzazione della Nord Corea, che a parole, alla cena di Seul è stata messa sul tavolo. Perché? Il Maresciall­o è disperato per l’impatto devastante delle sanzioni e la paura di attacco preventivo o si sente forte come non mai ora che ha provato al mondo di avere armi nucleari e missili per lanciarle? La Dinastia Kim ha fatto della propria sopravvive­nza e del potere assoluto gli unici due obiettivi politici. Kim vorrà sicurament­e garanzie e concession­i nel negoziato, ma le armi di distruzion­e di massa sono la sua assicurazi­one sulla vita. A Pyongyang non possono aver dimenticat­o la fine di Gheddafi, che pure era stato riabilitat­o, aveva ricevuto leader mondiali, aveva piantato la sua tenda beduina a Roma e a Parigi, prima di essere bombardato e ammazzato. Nella migliore delle ipotesi, dal vertice Kim-trump uscirà il via libera per proseguire i colloqui. Ma se anche la Nord Corea prometterà di rinunciare alla corsa nucleare, serviranno ispezioni sul campo: significhe­rebbe aprire il Paese a controllor­i stranieri. Tutto molto complicato.

Sarà importante intanto l’incontro di aprile tra Moon e Kim sul 38° Parallelo. E al tavolo del ping pong ad alto rischio presto bisognerà trovare posto per Xi Jinping. Nel 1972 Richard Nixon e Mao Zedong vararono il disgelo mettendo nell’angolo l’urss che poi perse la Guerra fredda. A quel trionfo di realpoliti­k lavorarono in segreto per mesi Henry Kissinger e Zhou Enlai. Ora la Cina dice ad americani e coreani di proseguire su questa buona strada, ma è chiaro che l’imperatore Xi dovrà essere consultato sul futuro della penisola confinante. Trump non potrà limitarsi a un grazie per l’appoggio.

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Nel 1973 L’allora segretario di Stato Henry Kissinger e il premier cinese Zhou Enlai durante il disgelo Usa Cina che tagliò fuori l’urss. Ora è la Cina a non voler essere esclusa (Getty)

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