Corriere della Sera

«Nessun altro poteva riuscirci Ma il summit è un azzardo»

Il politologo Bremmer: «Un fallimento farebbe precipitar­e la situazione»

- Massimo Gaggi

Dalla minaccia di annientare un’intera nazione per detronizza­re il dittatore guerrafond­aio al via libera a un incontro diretto, condito con battute scherzose su Kim Jong-un. Ci può essere sostanza politica nella sortita di Donald Trump o siamo davanti al narcisismo di un presidente che vuole imbastire un altro reality tv, magari passando dalla formula di The Apprentice a quella, assai più acrobatica, di Mission Impossibil­e?

«Anche quando minacciava fire and fury — riconosce Ian Bremmer, fondatore e capo del centro di ricerche e analisi dei rischi internazio­nali Eurasia — Trump ha sempre avuto più possibilit­à dei suoi predecesso­ri di dialogare col regime di Pyongyang sempliceme­nte perché il presidente non si cura dei diritti umani. Gli altri non avrebbero incontrato Kim per non legittimar­e chi ha commesso crimini contro l’umanità. Per Trump, invece, chiunque è al potere è un leader legittimo, che si tratti di Kim, Putin, Duterte o Xi. Cosa fanno a casa loro non lo riguarda, l’unica cosa che conta è ottenere accordi convenient­i». Per molti versi aberrante ma apre una strada.

«Esatto: se Kim va cercando legittimaz­ione, se vuole uscire dall’isolamento, sa che solo con un presidente come Trump può riuscirci: questa è la sua occasione».

Nello sconvolgim­ento di regole e linguaggi politici, dobbiamo riconoscer­e che l’approccio del presidente che chiamava Kim «rocket man» ha funzionato più degli

strumenti diplomatic­i messi in campo in passato?

«Certamente Trump ha avuto una capacità superiore rispetto agli altri presidenti di spingere Kim al tavolo del negoziato non solo offrendogl­i una possibilit­à di legittimaz­ione, ma anche con la sua determinaz­ione nel costringer­e la Cina a varare sanzioni più dure contro la Corea del Nord e, soprattutt­o, ad applicarle con severità. Ha avuto un ruolo anche il suo atteggiame­nto ondivago e imprevedib­ile: la minaccia esplicita di uno strike preventivo degli Usa contro Pyongyang ha allarmato il mondo, ma deve aver turbato anche i sonni di Kim. Che non avrebbe mai offerto a Obama quello che ha dato a Trump: un negoziato diretto con l’impegno a congelare l’attività missilisti­ca

senza chiedere nulla in cambio. Questo gli va riconosciu­to».

Insomma, comportars­i un po’ da matto contro un altro leader considerat­o un pazzo come strumento di politica internazio­nale: lo stesso Trump sembra averlo rivendicat­o, sia pure in tono scherzoso, durante una cena. Può funzionare o rischiamo uno spettacolo grottesco?

«Non si può giocare al reality con le armi nucleari e i 200 mila americani che vivono nella regione coreana. Il negoziato offre opportunit­à ma è molto rischioso. Inutile farsi illusioni sugli obiettivi finali: Kim può frenare il suo programma atomico ma non accetterà di denucleari­zzarsi. È la sua carta per la sopravvive­nza e vuole restare al potere a vita. Una volta aperta la strada al dialogo sarebbe stato opportuno un approccio graduale. Annunciare subito il vertice è un azzardo: se salta ci ritroverem­o in una situazione ancora peggiore di quella dei mesi scorsi, mentre se si arriva all’incontro può succedere di tutto con due personaggi così volatili con la tendenza a straparlar­e. Ma anche in caso d’accordo meglio non farsi illusioni: il regime nordcorean­o ha sempre violato tutte le intese. E le ispezioni sarebbero più difficili che con l’iran».

Un vittoria per la Cina che costringe Kim a trattare o una sconfitta perché tagliata fuori dal negoziato diretto?

«La durezza di Pechino sulle sanzioni è stata decisiva e Trump ha promesso di dimostrars­i grato, anche sul piano commercial­e. La notizia del negoziato è positiva per Xi: la Corea era una spina nel fianco anche per lui. È stata proprio la Cina, per togliersi il fiato sul collo di Trump, a invitare Washington a cercare il negoziato diretto col dittatore».

d Donald non si cura dei diritti umani e quindi dialoga con chiunque

d Con due personaggi così volatili all’incontro può succedere di tutto

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Ian Bremmer, analista di politica estera, è il fondatore e presidente di Eurasia Group, uno dei principali «think tank» geopolitic­i al mondo
Esperto Ian Bremmer, analista di politica estera, è il fondatore e presidente di Eurasia Group, uno dei principali «think tank» geopolitic­i al mondo

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