«Nessun altro poteva riuscirci Ma il summit è un azzardo»
Il politologo Bremmer: «Un fallimento farebbe precipitare la situazione»
Dalla minaccia di annientare un’intera nazione per detronizzare il dittatore guerrafondaio al via libera a un incontro diretto, condito con battute scherzose su Kim Jong-un. Ci può essere sostanza politica nella sortita di Donald Trump o siamo davanti al narcisismo di un presidente che vuole imbastire un altro reality tv, magari passando dalla formula di The Apprentice a quella, assai più acrobatica, di Mission Impossibile?
«Anche quando minacciava fire and fury — riconosce Ian Bremmer, fondatore e capo del centro di ricerche e analisi dei rischi internazionali Eurasia — Trump ha sempre avuto più possibilità dei suoi predecessori di dialogare col regime di Pyongyang semplicemente perché il presidente non si cura dei diritti umani. Gli altri non avrebbero incontrato Kim per non legittimare chi ha commesso crimini contro l’umanità. Per Trump, invece, chiunque è al potere è un leader legittimo, che si tratti di Kim, Putin, Duterte o Xi. Cosa fanno a casa loro non lo riguarda, l’unica cosa che conta è ottenere accordi convenienti». Per molti versi aberrante ma apre una strada.
«Esatto: se Kim va cercando legittimazione, se vuole uscire dall’isolamento, sa che solo con un presidente come Trump può riuscirci: questa è la sua occasione».
Nello sconvolgimento di regole e linguaggi politici, dobbiamo riconoscere che l’approccio del presidente che chiamava Kim «rocket man» ha funzionato più degli
strumenti diplomatici messi in campo in passato?
«Certamente Trump ha avuto una capacità superiore rispetto agli altri presidenti di spingere Kim al tavolo del negoziato non solo offrendogli una possibilità di legittimazione, ma anche con la sua determinazione nel costringere la Cina a varare sanzioni più dure contro la Corea del Nord e, soprattutto, ad applicarle con severità. Ha avuto un ruolo anche il suo atteggiamento ondivago e imprevedibile: la minaccia esplicita di uno strike preventivo degli Usa contro Pyongyang ha allarmato il mondo, ma deve aver turbato anche i sonni di Kim. Che non avrebbe mai offerto a Obama quello che ha dato a Trump: un negoziato diretto con l’impegno a congelare l’attività missilistica
senza chiedere nulla in cambio. Questo gli va riconosciuto».
Insomma, comportarsi un po’ da matto contro un altro leader considerato un pazzo come strumento di politica internazionale: lo stesso Trump sembra averlo rivendicato, sia pure in tono scherzoso, durante una cena. Può funzionare o rischiamo uno spettacolo grottesco?
«Non si può giocare al reality con le armi nucleari e i 200 mila americani che vivono nella regione coreana. Il negoziato offre opportunità ma è molto rischioso. Inutile farsi illusioni sugli obiettivi finali: Kim può frenare il suo programma atomico ma non accetterà di denuclearizzarsi. È la sua carta per la sopravvivenza e vuole restare al potere a vita. Una volta aperta la strada al dialogo sarebbe stato opportuno un approccio graduale. Annunciare subito il vertice è un azzardo: se salta ci ritroveremo in una situazione ancora peggiore di quella dei mesi scorsi, mentre se si arriva all’incontro può succedere di tutto con due personaggi così volatili con la tendenza a straparlare. Ma anche in caso d’accordo meglio non farsi illusioni: il regime nordcoreano ha sempre violato tutte le intese. E le ispezioni sarebbero più difficili che con l’iran».
Un vittoria per la Cina che costringe Kim a trattare o una sconfitta perché tagliata fuori dal negoziato diretto?
«La durezza di Pechino sulle sanzioni è stata decisiva e Trump ha promesso di dimostrarsi grato, anche sul piano commerciale. La notizia del negoziato è positiva per Xi: la Corea era una spina nel fianco anche per lui. È stata proprio la Cina, per togliersi il fiato sul collo di Trump, a invitare Washington a cercare il negoziato diretto col dittatore».
d Donald non si cura dei diritti umani e quindi dialoga con chiunque
d Con due personaggi così volatili all’incontro può succedere di tutto