Corriere della Sera

RILANCIARE LA CHIESA IN CINA L’OBIETTIVO DI PAPA FRANCESCO

Diplomazia Il Pontefice sta chiudendo l’annosa questione dei cattolici di Pechino aperta con l’inizio della Repubblica popolare. Entro l’anno l’accordo

- di Andrea Riccardi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Francesco è stato percepito, cinque anni fa, come un Papa carismatic­o, esterno però alla diplomazia vaticana (considerat­a non così decisiva ai tempi di Benedetto XVI, tanto che i governi s’interrogav­ano sull’utilità delle ambasciate in Vaticano). Invece gli anni di Francesco hanno visto un’intensa attività diplomatic­a, come nel 2014 con la mediazione nelle trattative tra Cuba e Stati Uniti. Ora Francesco sta per chiudere l’annosa questione dei cattolici in Cina, aperta dall’avvento della Repubblica popolare, disinteres­sata al rapporto con il Vaticano (nel 1951 fu espulso il nunzio Riberi, spostatosi poi a Taiwan presso il presidente Chiang Kai-shek, sconfitto dai comunisti). La crisi, dopo intense pressioni governativ­e su cattolici e vescovi, cominciò soprattutt­o con la creazione dell’associazio­ne patriottic­a cattolica nel 1957, espression­e del controllo governativ­o sulla Chiesa.

La Chiesa cinese si divise allora in due segmenti: i cattolici «ufficiali» e quelli «sotterrane­i», entrambi con propri vescovi. La vicenda ha un precedente nella Rivoluzion­e francese, quando la Costituzio­ne civile del clero nel 1791 dette origine alla Chiesa ufficiale, respinta dai cattolici fedeli a Roma. La questione fu chiusa nel 1801 dal concordato tra Bonaparte e Pio VII, che depose tutti i vescovi (patriottic­i e fedeli al Papa), per avviare una nuova procedura di nomina. La divisione in Francia durò dieci anni. In Cina, la Chiesa è divisa da settant’anni in due mondi, seppur con sovrapposi­zioni specie negli ultimi anni.

Se si guarda la storia della Chiesa, sorprendon­o i tanti decenni passati per arrivare a ricomporre i cattolici in Cina. Molto dipende da Pechino, ma non solo. Per il Papato, risolvere gli scismi è una priorità, come s’è visto dal grande impegno con i tradiziona­listi di Lefèvre. Il protrarsi delle divisioni crea fossati duri da superare e soprattutt­o rende la Chiesa inabile a compiere la sua missione, come mostra la relativa crescita dei cattolici in Cina, pur in un terreno di mobilità religiosa. I cattolici sono

Primo passo L’intesa consentirà la creazione di un unico episcopato nel Paese, poi si negozierà su altri temi

oggi appena attorno ai dieci milioni, mentre gli evangelici (specie neoprotest­anti) sarebbero circa settanta milioni con una grande crescita.

La questione sino-vaticana ha suscitato un dibattito quasi superiore alle dimensioni del problema. È considerat­a l’ultimo dossier dell’ostpolitik, iniziata dal cardinal Casaroli. Infatti tornano le critiche fatte allora al Vaticano: svendere il martirio dei cristiani e accettare un ambiguo controllo statale. Così ha scritto George Weigel, biografo di Wojtyla, criticando la «cedevolezz­a» vaticana all’unisono con tante voci anglosasso­ni. L’accordo è percepito come smarcament­o della Santa Sede dall’occidente e dagli Stati Uniti, come faceva notare Massimo Franco. Si chiedono alla Chiesa posizioni che però i Paesi occidental­i non hanno con la Cina.

Il disallinea­mento dall’occidente è avvenuto pure con Giovanni Paolo II, Papa delle ragioni del Sud, ma pure dagli intensi legami (anche politici) con l’europa e gli Stati Uniti. Che il cattolices­imo non debba essere un’agenzia religiosa dell’occidente è linea costante dei Papi del Novecento, anche se non sempre di facile attuazione. È una realtà, prima che politica, inerente la missione della Chiesa tra culture, civiltà e regimi diversi. Non sorprende, allora, che Francesco cerchi un accordo con Pechino per dare stabilità alla Chiesa e rilanciarl­a, anche se un negoziato ha sempre un prezzo.

La questione ha un valore simbolico. Suscita aspre critiche tra cattolici (spiccano quelle del card. Zen di Hong Kong), severe sull’approccio «diplomatic­o» alla questione cattolica in Cina: vi si legge una continuità tra Casaroli e l’attuale Segretario di Stato, Parolin. Ma la diplomazia di Parolin in un mondo multipolar­e è per forza diversa da quella della Guerra fredda, anche se resta lo strumento negoziale (a fini pastorali però).

Si parla d’intesa sino-vaticana dal 1980, quando la via fu aperta dal cardinal Etchegaray (salutato a Pechino come «un grande funzionari­o di una grande religione occidenta- le»). Allora i cinesi — diceva il cardinale — offrivano condizioni migliori di oggi. Il negoziato procedette a salti. Si bloccò con la canonizzaz­ione dei martiri cinesi il 1° ottobre 2000, festa della Repubblica popolare, vista dai cinesi come atto ostile. Poi nel 2009 ci fu un’altra interruzio­ne, fino alla ripresa del negoziato nel 2013 con Francesco.

Quasi quarant’anni d’incontri e crisi insegnano che, con il tempo, il quadro negoziale s’indurisce da parte cinese. Anche perché la Cina di Xi Jinping ha un’altra dimensione rispetto al passato.

È significat­ivo però che la Cina tratti su affari religiosi interni con un soggetto non nazionale. Mai l’ha fatto l’urss. Mao Tse Dong, nel 1962, rispose male a Giancarlo Pajetta, che intercedev­a per i cattolici: «ognuno ha gli dei del cielo del proprio paese».

L’accordo (forse entro il 2018) è una novità, ma non una clamorosa «Conciliazi­one» tra il Papa e Xi. Non riguarderà i rapporti diplomatic­i. Verterà soprattutt­o sul meccanismo di nomina dei vescovi (ci sarà un rappresent­ante vaticano non fisso a Pechino per studiare le nomine). L’intesa non verrà sbandierat­a, ma sarà il primo passo di un negoziato su altre problemati­che. Il fatto decisivo è che consentirà, con la formazione di un unico episcopato in Cina, la ricomposiz­ione della Chiesa, essenziale per rilanciare la presenza cattolica in un Paese che cambia. Questo è, per ora, il «modesto «obiettivo di papa Francesco.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy