SÌ AL LAVORO PER I GIOVANI NO AL REDDITO GARANTITO
Ricordo quando andai a Messina a seguire la nuotata di Grillo attraverso lo Stretto. Mentre aspettavamo l’arrivo del fondatore, scortato da Casaleggio padre, parlai a lungo con la piccola folla di militanti siciliani in attesa. Raccontavano di essere esasperati. Di essere stati umiliati per anni da politici che si facevano pregare per un posto di lavoro precario, per un permesso dovuto, per l’assistenza a un parente disabile; il tutto mentre i deputati regionali (in Sicilia si chiamano così) si assegnavano l’un l’altro stipendi che nessuno sull’isola si sogna. Dare loro torto era impossibile, ed è evidente che dietro il plebiscito per i Cinque Stelle c’è anche il desiderio di un riscatto morale del Sud. Ma, non nascondiamocelo, c’è anche una domanda di assistenza, molto sentita in regioni già povere di loro e ulteriormente impoverite dalla crisi e dai tagli alla spesa pubblica (oggi lo Stato incassa molto più di quel che spende; il problema sono gli interessi sul debito).
Personalmente credo che il reddito di cittadinanza, come lo propongono i Cinque Stelle, sia irrealizzabile. È difficile individuare la platea degli aventi diritto, in un contesto (non solo meridionale) in cui molti redditi sfuggono al fisco e quindi ufficialmente non esistono, e molti lavorano in nero. È difficile rendere effettivo il meccanismo dei tre rifiuti dopo i quali il reddito si perderebbe; ci sono disoccupati che di proposte di lavoro non ne hanno mai ricevuta una. Inoltre è difficilissimo trovare i soldi nel bilancio pubblico, visto che non si riescono a trovare 4 miliardi per la manovra correttiva. Inoltre garantire un reddito a tutti in cambio di nulla rischia di avere un impatto sociale devastante e disincentivare il lavoro. Meglio investire per creare nuovi posti e limitare l’assistenza agli indigenti e a chi non potrebbe lavorare neppure se lo volesse.