«Tassati» come beni di lusso La campagna Lav
di irrequietezza, di fragilità, di instabilità, e perciò era anzitutto a loro che era diretta la mia rabbia, a loro che, nella mia testa di bambino e poi di adolescente, non erano riusciti a farmi sentire fuori pericolo, al sicuro, in una condizione in cui era possibile — come era stato possibile per loro, negli anni Settanta — crescere e realizzarsi. Benché non lo fossi affatto, la questione è che mi sono sempre sentito solo, orfano, perennemente alla ricerca di un punto di riferimento, di una stabilità che mi era stata negata. Un po’ come il protagonista di Blade Runner 2049, che s’illude di aver trovato un padre, o come la mitica Rey di Star Wars, che non sa da dove viene né quale sia il suo posto.
Col passare del tempo mi sono scoperto a invidiare i miei genitori: ogni film ambientato negli anni Settanta, dove tutti correvano a comprare l’automobile, dove tutti avevano un posto sicuro, a tempo indeterminato, dove non si aveva la più pallida idea degli effetti di quell’incredibile boom di benessere a base di tecnologia, ognuno di quei film mi ha sempre messo addosso una certa tristezza, come se avessi voluto rinascere negli anni Cinquanta, e un terribile rancore.
Sono nato nel 1984, due anni prima della catastrofe di Chernobyl: ricordo ancora il terrore di mangiare verdure radioattive, l’angoscia di essere stati contaminati. Ma già prima di quella tragedia si era diffusa una percezione strana, la consapevolezza di un mondo — quello delle risorse infinite, delle possibilità illimitate — che si esauriva, sperperato in maniere folli dalle generazioni precedenti. Prendeva forma il nostro presente, il tempo in cui, ogni giorno, leggiamo di un’altra specie estinta, di un nuovo bosco distrutto, dell’ennesima petroliera affondata.
In fondo, quando si dice che i ragazzi non sono capaci nemmeno di pagare una bolletta, credo si dica una mezza verità: non è facile venire su fra questi due opposti, tra un mondo idilliaco che ti ha viziato per poi lasciarti a fare i conti con un mondo terrificante. Un mondo che, a Scatolette, crocchette, cure veterinarie. Sono considerati «beni di lusso» e come tali sottoposti ad un’iva del 22%. Proprio come lo champagne o un orologio d’oro. Per questo, possiamo dire che i più tassati della famiglia sono proprio loro: i circa 60 milioni di animali (tra cui 7 milioni di cani e 7 milioni e mezzo di gatti) che vivono nelle case degli italiani. Con l’obiettivo di cambiare questa situazione — ed incentivare anche le brevissimo, sarà per intero sulle nostre spalle. E può capitare che il risultato di questo confronto impietoso sia un tremendo, paralizzante, complesso di inferiorità.
Quando tornai a casa, ogni volta che raccontavo di aver deciso di rimpatriare, rinunciando a un ottimo lavoro e a un buono stipendio per vivere di commesse microscopiche a cinquecento amorimoderni@corriere.it. La 27esima Ora (http://27esimaora.corriere.it). adozioni che sono in calo in Italia negli ultimi anni anche a causa della crisi economica — la Lav ha lanciato una campagna per chiedere al nuovo governo misure che garantiscano e tutelino i diritti degli animali e delle loro famiglie. L’iniziativa si chiama «Gli animali non sono un lusso» e arriverà oggi e domani — e poi il 17 e 18 marzo — nelle piazze italiane. «Chiederemo ai cittadini di firmare una petizione per chiedere alcuni euro al mese (quando andava bene), suscitavo la stessa reazione: ti sei arreso ai sentimentalismi, non sei stato sufficientemente coraggioso, non hai saputo tagliare i ponti. E io, ogni volta, cercavo di spiegare che la felicità non è fatta di lavoro e soldi ma proprio di ponti, cioè di condivisione; che persino cinquecento euro al mese, se spesi nei luoghi dell’anima in compagnia degli affetti di una vita, possono valere più di cinquemila euro guadagnati in una città a migliaia di chilometri di distanza, dove leggi i quotidiani italiani sentendo di girare a vuoto, come chi, dal pizzo di una montagna, passi le giornate a guardare il mare. La sera del mio trentesimo compleanno raccontai di essermi licenziato il giorno del sessantesimo compleanno di Zaha, dopo essermi scattato una foto con lei.
Affrontare questo conflitto generazionale è possibile, così come è possibile vincere l’apatia e l’ansia, i due marchi a fuoco della mia generazione, ma solo a patto di fare i conti con i nostri fantasmi, di scendere in profondità, di capire veramente, fino in fondo, quali sono i nostri motivi, i nostri limiti, le nostre potenzialità. D’altra parte credo che il peggio sia alle spalle. Si sentono sempre più spesso ragazzi che si inventano qualcosa, che si fanno venire un’idea, che avviano una nuova impresa. Io, in sette anni trascorsi a Napoli, mi sono preso tante soddisfazioni e — per lo più! — mi sono lasciato alle spalle la paura di non farcela, di non riuscire a stare in piedi sulle mie gambe. Perché, in fondo, non è vero che noi Millennials siamo fragili: proprio perché nati in un periodo di crisi abbiamo imparato a camminare su un terreno impervio, in costante cedimento; siamo abituati a fare i conti con una realtà finita, complessa, instabile, dove è difficilissimo distinguere il bene dal male e le strade possibili da quelle ormai chiuse. Non solo: siamo anche i primi a vivere la rivoluzione digitale, ad avere gli strumenti per inventare un mondo nuovo, dove, anziché tir, ciminiere e fabbriche, ci siano centrali fotovoltaiche galleggianti, auto elettriche, droni che consegnano acquisti a domicilio e case strafiche, fatte con bioplastiche ecologiche stampate 3D.
Il punto sta tutto nel rendercene conto, nell’affrontare il senso di colpa di avere le ali. E nel trovare il coraggio di uscire dal bozzolo e diventare farfalle. passi concreti per gli animali — spiegano dall’associazione — e in sostegno di tutti i cittadini che ne hanno accolto uno o più nella propria famiglia: un gesto d’amore e di responsabilità che fa bene agli animali, alle persone, alla collettività». Sul sito di Lav (www.lav.it) le città dove si svolgerà l’iniziativa e i moduli di raccolta firme. ILLUSTRAZIONI DI GIULIA PEX
@beamontini
La fragilità
Non è vero che noi Millennials siamo fragili: proprio perché nati in un periodo di crisi abbiamo imparato a camminare su un terreno impervio