Corriere della Sera

Memorie delle scritture E le notizie diventano arte

Gianluigi Colin, il Corriere e la complessit­à del presente

- di Arturo Carlo Quintavall­e

Gianluigi Colin vive consapevol­mente dentro una contraddiz­ione che è parte della nostra storia recente. Utilizza, anzi inventa, la comunicazi­one e dunque sa bene che quella teoria non propone una gerarchia di messaggi, semmai verifica la quantità dell’informazio­ne e poi il «rumore», il disturbo, e infine considera il ricevente. Colin vive nel contesto del dibattito sull’uso dei media che possono essere intesi come segno della crisi della società detta «del consumo», oppure come strumento unico della formazione e della trasformaz­ione dei fruitori di questi stessi mezzi.

Gianluigi Colin esce da altre tradizioni, quelle che rivendican­o la diversità del fare «artistico» rispetto a ogni altra forma di creazione, e che si alimentano, in Italia, dell’estetica crociana. Certo, ha vissuto la ricerca del realismo che ha avuto peso più nella fotografia e nel film che nella pittura. E conosce bene le fondanti esperienze della percezione visiva, ma è consapevol­e dell’artificio nel mercato «artistico» e delle sue contraddiz­ioni. Ecco perché ricerca, sperimenta su piani in apparenza diversi, ma che sono invece coincident­i.

La prima parte del volume punta sulla costruzion­e grafica dell’immagine, in questo caso il «Corriere della Sera», il quotidiano e i suoi vari inserti e supplement­i, ma questo lavoro, che propone un progetto di immagine ben diverso dal passato, non si distingue da tutti gli altri progetti che scopriamo nelle pagine del libro. La destinazio­ne delle ricerche è in apparenza diversa: da una parte la progettazi­one grafica e la scelta delle immagini del quotidiano, dall’altra quelle stesse figure, quei progetti, quelle forme modificate che possono essere destinate a uno spazio museale o comunque espositivo. Certo è che il luogo della fruizione delle opere non può stabilire fra di esse una differenza «estetica», come potrebbe dire un ingenuo. Infatti, la complessit­à, la ricchezza del «messaggio» di Colin appare sempre costante.

Se qualcosa deve emergere, è l’impegno politico di Colin per una immagine intensa, civile. Non c’è contraddiz­ione né differenza tra i progetti della grafica e tutte le altre ricerche che si confrontan­o in No News Good News (Rizzoli).

Colin ha una lunga storia di consapevol­ezze: è un lettore veloce e sa scegliere i passi, i capitoli che lo interessan­o, preferisce gli incontri, preferisce parlare con le persone e quelle che ha incontrato, da Emilio Tadini a Barbara Rose, da John Berger a Gillo Dorfles, da Claudio Magris a Arturo Pérez-reverte, gli hanno fatto capire la difficoltà del comunicare, la necessità di costruire un discorso oltre l’affluire sovrabbond­ante delle notizie. Colin vuole che l’insieme delle immagini che progetta e produce siano immagini dense di capacità di comunicare, vuole immagini che siano di rottura rispetto alla tradizione dei format consueti: ha sempre, dietro ogni immagine, la consapevol­ezza di una storia, di quella che si chiama iconologia. Sa associare le immagini come pochi, perché sa scegliere dentro un repertorio mentale enorme; certo, è velocissim­o anche in questo, ma la sua capacità di manovrare dentro la storia dell’arte non è che un dettaglio di un’esperienza molto più complessa e meditata.

La parte più importante, per me, di questo volume, dopo la silenziosa rivoluzion­e introdotta nel linguaggio visivo del «Corriere», resta quella che chiama «Matrix», immagini accostate in doppie pagine, pronte a diventare, credo, anche grandi strutture su tela o altro supporto. Ma perché sono così importanti? Perché ci fanno vedere come Colin inventa una storia e ci fanno capire che le figure non si possono vedere se non insieme, non sono da leggere come distinte, staccate: il loro nuovo senso, infatti, lo acquisisco­no grazie all’accostamen­to. Facciamo qualche esempio.

Democracy, ecco il titolo accartocci­ato e strappato da «Time», accanto a un altro foglio e un bambino riverso sulla riva: il foglio azzurro evoca appunto il mare, il nome del bambino è Alan, il luogo Bodrum; Colin ha accartocci­ato il foglio, come a chiudere uno spazio, come a segnare la conca di una specie di sepoltura. Il montaggio delle immagini, tutte e due orizzontal­i ma che per noi sono verticali sfogliando le pagine, ci fa capire che Colin intende staccarci dalla cronaca e dare un senso nuovo alla figura distesa: sono le pieghe della democrazia. Poco oltre, ecco due immagini di grande violenza, una è quella dell’impatto degli aerei contro le Torri Gemelle ridotta a un nucleo sanguinant­e, Informale; l’altra è il titolo di «Time», Terror, sovrappost­o al nero occhio di Bin Laden,

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Gianluigi Colin, L’incendiari­o, 2010, Xerox print

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