La politica frammentata che divora i suoi leader
Dicono sia lo spirito dei tempi. E questo è un tempo dove i leader latitano. La politica li fagocita, gli elettori li stropicciano. Durano lo spazio di un paio di legislature, per qualcuno basta una campagna elettorale per eclissarsi. Per questo il libro di Luciano Fontana Un Paese senza leader (Longanesi editore) è più che mai sulla notizia. E non poteva essere altrimenti, visto che a scriverlo è stato il direttore del «Corriere della Sera». Ieri la presentazione a Tempo di Libri, a Milano insieme all’editorialista del quotidiano di via Solferino Massimo Gramellini, e al vicedirettore Venanzio Postiglione. «Si chiudono 25 anni di illusioni — chiosa Fontana —, soprattutto l’illusione che fossimo approdati nel mondo nuovo. Quello del bipolarismo perfetto. Progressisti di qua, conservatori di là. E sarebbe bastato chiudere le urne per conoscere il capo del governo». E invece. Partiti spariti o ricomparsi con un altro nome e talvolta una nuova anima. «Mentre in Germania — continua Fontana — governavano Schröder e Merkel, da noi si alternavano una decina di leader diversi». Gramellini ha una risposta dantesca: «Forse è il contrappasso ai capi partito spettacolari, a cominciare da Berlusconi».
Un libro che è anche un album di ricordi, di incontri da vicino. Per raccontare una frammentazione che è la cifra della politica italiana degli ultimi cinque lustri. Quasi un voler mettersi alle spalle le certezze rassicuranti dei partiti del Dopoguerra. Sembra che l’italia sia affetta da una sorta di sindrome di Masaniello, la voglia di trovarsi un capopopolo, di idolatrarlo e poi metterlo da parte in un attimo. Un copione che si ripete inesorabile e per certi versi anche tragico.
Il libro di Fontana coglie l’attimo, «un libro profetico» come sottolinea Postiglione, proprio a cavallo dell’ultima tornata elettorale che fotografa con precisione una tendenza che dovrebbe essere temporanea e invece si rivela duratura. C’è una crisi della sinistra che paga a rate la fine di un’era. Il Pci granitico prima della svolta della Bolognina che muta pelle e identità. E persino il nome o i nomi: Pds, Ds e infine Pd, con in mezzo altre scissioni e lacerazioni varie. Leader che svaniscono, i segretari inamovibili diventano precari come i ragazzi che cercano lavoro. Da Occhetto a Renzi c’è più di un naturale salto generazionale. E non è che a destra il quadro sia più stabile nonostante la presenza ormai quasi trentennale di Silvio Berlusconi.
I movimenti populisti che sembrano la moda della generazione Millennial trovano le loro radici addirittura all’indomani della caduta del Muro di Berlino. Con la Lega apripista di una protesta che adesso trova epigoni nel Movimento Cinque Stelle. Di quel 1993 non è rimasto quasi niente. Gli uomini al comando sono tornati nelle retrovie. Anche quelli che avevano dato la spallata come Antonio Di Pietro. Emerge la frammentarietà di un Paese, quasi una condanna atavica, un dna di rivalità e odi, dove più che vincere conta far perdere l’avversario.