Corriere della Sera

I segnali tra i partiti per le presidenze: una Camera ai 5 Stelle l’altra al centrodest­ra

E Cottarelli «vede» un governo di transizion­e

- Marco Galluzzo

ROMA «È come una grande matrioska, ma nessuno conosce numeri, colori e forme delle matrioske successive». La battuta circola a Roma nei Palazzi, fra i partiti, persino al Quirinale e descrive lo stato di incertezza assoluta che al momento copre la situazione politica. Eppure di almeno due piccole matrioske più di qualcuno azzarda una previsione. La prima riguarda i presidenti delle Camere: scommetter­e che una vada ai 5 Stelle e l’altra al centrodest­ra, alla Lega (Giorgetti o Calderoli) o a Forza Italia (Romani), non è più un tabù.

La seconda riguarda la matrioska più grossa, quella del governo: persino negli uffici della prima carica dello Stato non si fa mistero di una soluzione possibile, ammesso e non concesso che venga accettata dai partiti, e ovviamente solo nell’eventualit­à che non ci siano strade alternativ­e.

Con la premessa di tanti condiziona­li la strada non porta né a un governo presieduto da Salvini né a uno guidato da Di Maio: al momento, come dice un autorevole esponente del Pd, «sembra che tutte le soluzioni possibili siano contro natura». Non lo sarebbe però un governo che dovesse nascere per un tempo breve, avere un obiettivo minimo (fare la Finanziari­a ed evitare che scattino le clausole Iva), e avere come presidente del Consiglio una figura che sia gradita al numero più ampio di forze politiche. Sarebbe un’extrema ratio, e come tale viene discussa, comunque migliore di un ritorno alle urne immediato.

«Non credo che si arriverà a un accordo per un governo stabile, penso piuttosto a un governo di transizion­e che avrà il compito di portarci a nuove elezioni», ha detto ieri Carlo Cottarelli, ex commissari­o alla spending review del governo Renzi, che fra l’altro in questo scenario incarnereb­be, proprio lui, una figura modello: ha lavorato con il Pd, Berlusconi lo voleva come ministro, Di Maio lo ha citato, il suo lavoro, come base ideale per tagliare la spesa pubblica.

È chiaro che si tratta di spiragli, di meri abbozzi di soluzioni, in un contesto di assoluta incertezza. Incertezza che comincia domani con la direzione del Pd: sarà davvero da martedì un Partito democratic­o senza più Matteo Renzi, e che direzione prenderà l’ex partito di maggioranz­a relativa? Subito dopo ci sarà, come elemento chiarifica­tore, l’assemblea nazionale del partito, ma in data successiva alle consultazi­oni. Poi ci sarà l’elezione dei presidenti delle Camere e subito dopo quella forse ancora più complessa dei capigruppo: come saranno eletti quelli del Pd, a maggioranz­a (come capitò per Zanda) o all’unanimità (come si verificò per Speranza)? Non sono sottigliez­ze, perché anche dalla compattezz­a dei democratic­i potrebbero dipendere gli scenari successivi alle consultazi­oni del Quirinale.

Non è detto che il tunnel della crisi non si affianchi a quello di altre democrazie europee: la Germania ci ha messo 6 mesi per avere un governo, la Spagna 1 anno, l’olanda 9 mesi. L’italia segnerebbe un record se avesse un esecutivo prima dell’estate e in quel caso una possibile luce in fondo al tunnel avrebbe come elemento di contrasto il ruolo del Pd, un ruolo importante, se non decisivo.

La possibilit­à di appoggiare uno dei due vincitori delle elezioni, i 5 Stelle o il centrodest­ra, infatti esiste, e viene discussa sottovoce nel Pd. Ma come condizione avrebbe quella di una rimodulazi­one pubblica, dunque parlamenta­re e ufficiale, di alcuni tratti del programma. In sintesi, per un appoggio esterno o a intermitte­nza del Pd, ma decisivo per la nascita di un governo, ci vorrebbe comunque una «correzione», in senso moderato, europeista, conforme ai parametri dei conti pubblici, da parte della Lega o dei 5 Stelle.

Scenari che al momento appaiono al limite del possibile, ma che sono gli unici che offre il buon senso. Oltre a uno che tutti escludono a gran voce, compresi i protagonis­ti diretti, ma che eliminereb­be di colpo qualsiasi trattativa: un governo Di Maio-salvini. Una matrioska che è il più grande dei tabù, almeno al momento.

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In Aula La prima seduta delle nuove Camere è fissata per il 23 marzo

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