Corriere della Sera

«Intese per le Camere, non sul governo»

Il ministro dem De Vincenti: nomi condivisi per le presidenze Ma sull’esecutivo accordi tra noi e destra o M5S né in cielo né in terra

- Marco Galluzzo

ROMA Ministro Claudio De Vincenti, che ruolo può giocare il Pd in questa crisi?

«Occorre partire dall’invito che Mattarella ha fatto al massimo senso di responsabi­lità da parte di tutte le forze politiche. Significa soprattutt­o due cose. Ispirare le proprie scelte e la propria azione al senso delle istituzion­i. E il rispetto della volontà espressa dagli elettori».

E quindi?

«Occorre tenere su piani diversi la questione delle presidenze delle due Camere e la formazione del governo. Così vuole il corretto funzioname­nto delle istituzion­i. Per le Camere tutti devono avere come obiettivo quello di arrivare a delle figure che siano di garanzia per tutti».

E per il governo?

«Qui entra in gioco il rispetto della volontà degli elettori. Nel caso del Pd significa prendere atto di una pesante sconfitta elettorale. Essere noi oggi a porci il problema della formazione del governo sarebbe irrispetto­so del voto e contraster­ebbe con il senso delle istituzion­i. In questo momento non sta a noi a porci il problema. Un governo Pd-5 Stelle non sta né in cielo né in terra, e neanche uno Pdcentrode­stra».

E nel caso di un governo di minoranza?

«Non possiamo aumentare la confusione avallando posizioni che mettono a rischio il posto dell’italia in Europa o la ripresa economica».

Come spiega la crisi del Pd?

«Se dopo quanto abbiamo fatto in questi anni per ridare un futuro al nostro Paese, ed io i risultati li rivendico senza esitazioni, gli elettori ci puniscono, è evidente che è mancata una sintonia con le persone in carne ed ossa. La ripresa dell’economia e dell’occupazion­e non sono bastate, data la profondità delle ferite che la crisi aveva prodotto nel tessuto sociale. Alla fine siamo stati paradossal­mente percepiti come più attenti a chi si rimetteva in moto che a chi restava indietro. Le misure che abbiamo preso sono state di grande respiro, economico e sociale, ma le ferite sociali della crisi del 2008 sono così profonde che ci vuole tempo perché queste misure arrivino a cambiare la vita quotidiana della gente».

Per anni avete dato l’immagine di una guerra fra bande, come deve cambiare il Pd per ritrovarsi?

«Deve ritrovare la capacità di parlare ai sentimenti e all’intelligen­za delle persone, farsi carico dei loro problemi e risolverli. Non ha bisogno che ci sia una caccia al colpevole e vanno evitate le chiusure reciproche, l’incomunica­bilità all’interno del partito, altrimenti si rischiereb­be di mettersi davvero sul piano inclinato di un declino inarrestab­ile. Con le dimissioni Renzi ha sgombrato il campo da ogni equivoco».

In questi anni avete dimostrato di avere un problema di metodo nelle decisioni, forse persino con il concetto di leadership.

«Esiste un problema di consapevol­ezza e cultura politica, è ora di cambiare impostazio­ne: serve che ritroviamo il meglio delle culture di provenienz­a, responsabi­lità verso la causa comune e verso il nostro Paese. Le regole sono la cornice necessaria, ma lo è anche il riconoscer­si a vicenda, superare le logiche di appartenen­za legate al passato».

Abbiamo ridato un futuro al Paese ma si deve ritornare a parlare alle persone e risolvere i loro problemi

Nei processi decisional­i del partito si deve cambiare impostazio­ne superando le logiche di appartenen­za legate al passato

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