«Se le restrizioni non si limitano all’acciaio danni enormi per vini, olio e formaggi»
d Le esportazioni italiane verso gli Usa sono il 10% del totale agroalimentare
«Speriamo che le misure protezionistiche non si allarghino dall’acciaio ad altri settori. Purtroppo siamo preoccupati perché sono gli stessi importatori americani ad averci messo in guardia».
Giorgio Mercuri è presidente dell’alleanza delle cooperative agroalimentari: 5 mila coop per 36 miliardi di fatturato, di cui 8 grazie alle esportazioni e 2 nei soli Stati Uniti. Perciò gli avvertimenti degli importatori americani, da quest’altra parte dell’atlantico, non fanno dormire sonni tranquilli.
Su cosa si basa il timore del mondo agroalimentare italiano?
«Sul fatto che Trump non ha mai chiarito bene la questione dazi, non ha messo punti fermi. E se la sensazione degli importatori agroalimentari americani è di un allargamento delle misure, noi dobbiamo preoccuparci».
In che misura?
«Tanto. In primo luogo perché lo dicono i numeri. Dal 2014 al 2017 l’incremento verso i soli Stati Uniti delle esportazioni agroalimentari italiane è stato di 1 miliardo, da 3 a 4, più 33%. Il peso di quei 4 miliardi verso gli Usa, rispetto ai 40 miliardi complessivi dell’export agroalimentare, è pari al 10%. E poi c’è da considerare anche il momento in cui potrebbero arrivare queste restrizioni».
Cosa vuol dire?
«Il mondo agroalimentare italiano sta ancora subendo gli effetti dell’embargo russo del 2014. La Russia 4 anni fa non pesava come gli Stati Uniti adesso, ma comunque aveva una quota sulle esportazioni agroalimentari italiane del 2,5%. Per far fronte a quell’embargo l’incremento dell’export verso gli Stati uniti è risultato importante».
Ma in Russia è un embargo. Quella degli Usa sarebbe una misura meno grave, visto che si parla di dazi. Di cui non ci sono ipotesi neanche sull’entità.
«Qualunque fosse la percentuale dei dazi, l’agroalimentare italiano sarebbe estromesso dal mercato statunitense, perché i prezzi dei prodotti italiani, che sono di qualità, sono già posizionati nella fascia alta. Insomma, perderemmo gli Stati Uniti come mercato di sbocco. E dovremo prepararci anche a conseguenze peggiori».
Peggio di perdere un mercato così importante?
«A un andamento dei consumi interni stagnanti si aggiungerebbe la concentrazione in altri Paesi di quel 10% diretto verso gli Usa. E i prezzi si abbasserebbero ovunque».
Quali sarebbero i prodotti più danneggiati?
«La prima voce dell’export agroalimentare verso gli Usa è il vino: 1,2 miliardi di euro, in cui è rilevante il peso della cooperazione, con una quota pari al 56. Le esportazioni di formaggi e latticini dall’italia verso gli Usa valgono invece 265 milioni e anche in questo caso la quota cooperativa è predominante, il 52%, trainata dal peso dalle Dop ad alto valore aggiunto come Grana Padano e Parmigiano Reggiano che valgono 130 milioni di euro. E verrebbero danneggiati anche olio e pasta».