I segreti della pornostar che i legali di Donald hanno fermato (per ora)
Basterà l’ingiunzione contro l’ex amante del presidente?
C’è chi ha fatto il brutto gesto, in queste ore, di immaginare cosa sarebbe successo se l’avvocato di Bill Clinton o di Obama avesse versato 130 mila dollari (circa 105 mila euro) sul conto di una pornostar per convincerla a firmare un accordo nel quale prometteva di non parlare dei suoi rapporti con il presidente. O se, addirittura, Hillary Clinton fosse stata eletta, nel 2016, e poi fosse emerso il suo pagamento a un pornoattore. I 130 mila dollari pagati — attraverso una società di facciata basata in Delaware, Stato che non richiede alle società di rivelare la composizione del suo management — da Michael Cohen, avvocato di Trump, alla pornostar Stormy Daniels (protagonista di oltre 150 film per adulti tra i quali Studentesse porcelline, Affari Interni e Il Codice Vagina) pochi giorni prima del voto del novembre 2016 non hanno danneggiato il presidente (popolarissimo tra la destra religiosa che 20 anni fa guidò la carica contro Bill Clinton per la relazione con Monica Lewinsky).
Adesso però viene fuori che per organizzare il trasferimento dei soldi destinati poi a Stormy e per negoziare con lei il patto di riservatezza, Cohen, il quale ha sempre insistito che la compagnia non fosse coinvolta nelle «trattative», usò la mail della Trump organization.
Ed è emerso un nuovo elemento: l’avvocato ha ottenuto un’ingiunzione temporanea in tribunale contro l’attrice (che ha fatto a sua volta appello) per costringerla al silenzio. Sosteneva Stormy che Trump
Cohen usò la mail della Trump organization per il trasferimento dei soldi all’attrice
non aveva mai firmato personalmente il documento dell’accordo extragiudiziale del 2016, e pertanto lei si sentiva libera da ogni vincolo.
Il problema per il presidente? Anche ignorando il particolare non confortante che ora l’avvocato di Trump ha dovuto prendere un avvocato per se stesso (non si sa mai, spostando fondi da società di facciata: il bonifico era stato segnalato dalla banca alle autorità come «sospetto», e il pagamento effettuato con fondi della campagna elettorale trumpiana parrebbe illegale), il documento che chiedeva l’ingiunzione è stato reso pubblico. E contiene elementi imbarazzanti: Trump e Stormy, nel testo, vengono indicati per privacy con pseudonimi (Trump è «David Dennison», Stormy è «Peggy Peterson»). C’è una clausola che fa riferimento a «certe fotografie e/o sms mandati o relativi» a Trump: il presidente inviò con lo smartphone fotografie alla pornostar? Selfie?
Un’altra clausola chiede il silenzio su una fantomatica «paternità» di Trump: c’è un figlio segreto? Una gravidanza imprevista? Spiegazione innocente: l’avvocato ha usato una formula standard per casi simili. Però certo la relazione cominciata nel 2006 sarebbe durata anni, secondo una vecchia intervista con Stormy sulla rivista In Style.
La pornoattrice avrebbe, secondo il legale di Trump, minacciato di «vendere, trasferire, disseminare in pubblico e/ o sfruttare commercialmente le immagini e/o altre proprietà intellettuali e/o informazioni confidenziali». Intimando poi a Stormy di cancellare queste immagini definitivamente. Ogni singola violazione porterebbe Stormy a subire una causa per danni di un milione di dollari.
Il giornalista della Msnbc Lawrence O’donnell, mai tenero con Trump, ha fatto all’avvocato di Stormy la domanda inevitabile — l’attrice è davvero in possesso di foto imbarazzanti del presidente? Risposta: «La mia cliente risponderà a tempo debito».