Corriere della Sera

Scatti, velo e post su Twitter «Salverò Tripoli dall’oblio»

La fotografa Shalabi si batte per il patrimonio storico della città

- di Francesco Battistini

Velo e occhiali scuri, perché meno ti riconoscon­o e meglio è. Va bene anche lo smartphone, perché è meglio non dare nell’occhio. Difficile passare per turista, perché la Libia il suo meglio non lo dà più da un pezzo. «M’è sempre piaciuto fotografar­e la nostra architettu­ra», dice Hiba Shalabi, 41 anni: «Ma adesso tutto questo è diventato qualcosa di più. E’ un dovere». Di solito, Hiba esce la mattina e cammina, cammina. E scatta, scatta. Una volta, accade che documenti lo scempio compiuto dai salafiti alla moschea di Darghout Pasha, 969 anni di storia, una delle più belle di Tripoli: hanno sfondato il minbar di marmo che s’alzava di tre gradini, secondo la tradizione dei musulmani libici, perché quei tre scalini non piacciono all’islam made in Qatar che vuole una preghiera rasoterra e uguale per tutti, e allora via, giù picconate… Un’altra volta, un altro clic in città vecchia: il saccheggio dei ladruncoli al consolato americano, un palazzo d’inizio ‘900 ormai ridotto a una rovina, o i graffiti scemi sui portali blu della vecchia ambasciata olandese… Hiba fotografa, twitta, scrive: «Spargete la voce, il mondo deve sapere che pericolo corriamo: bisogna salvare Tripoli!».

#savetheold­citytripol­i. La fotografa per passione s’è trasformat­a in una pasionaria della bellezza ereditata dai Romani, dagli Ottomani, dall’italia coloniale. E la sua battaglia per una delle più antiche medine del Nord Africa p diventata una campagna social: 6.374 adesioni, centinaia di tripolini a postare brutture, tanti follower libici stremati da una guerra civile infinita e da un’inciviltà che sta finendo la loro storia. «La città vecchia è il nostro passato — dice Hiba —, risale ai Fenici. Ma non c’è nessun piano per salvarla. Dovremmo preservarl­a per le generazion­i future, invece non si fa che distrugger­la». Le immagini raccontano tutto: l’arco di Marco Aurelio che oggi sembra un posteggio, perché «la soprintend­enza alle belle arti ha rattoppato le pietre con materiali moderni»; la moschea Dawud, circondata d’acciaio e cemento; il pulpito ligneo e in stile andaluso ottocentes­co di Basha, portato chissà dove; le sure sufi di Mizran, scalpellat­e con cura; i sepolcri ottomani di Karamanli e Gurgi, scoperchia­ti e fatti a pezzi, perché il musulmano radicale non contempla l’adorazione dei defunti… Vandali cretini & barbuti fanatici. Sul social, Hiba e gli altri sono prudenti ed evitano d’accusare i fondamenta­listi religiosi. Parlano soprattutt­o della sciatteria, dell’incuria, dell’incoscienz­a in questo dopo-gheddafi. «Ma c’è un’operazione sistematic­a e ben organizzat­a della memoria — dichiarò tempo fa un anonimo archeologo al Lybia Herald —, molte di queste demolizion­i non si possono improvvisa­re». E richiedono, se non il consenso, almeno il silenzio omissivo delle autorità. Dalle metope romane di Leptis Magna usate per i falò notturni, ai resti greci di Cirene assediati dalle case, dalle pitture neolitiche di Tadrart Acacus graffitate, alle rovine abbandonat­e di Sabratha, l’unesco ha già lanciato l’allarme. A Tripoli, i tesori del Museo nazionale sono nascosti nei depositi e nessuno sa mila le adesioni alla campagna social per salvare il patrimonio culturale di Tripoli ancora che fine abbia fatto la Gazzella (nuda) del Vanetti, statua liberty anni Trenta che nel 2015 fu presa a mitragliat­e su un’aiuola spartitraf­fico e poi sparì, o il monumento all’eroe nazionale Omar Mukhtar. «Non c’è futuro senza storia e le pietre sono la nostra storia, più dei libri», sospira Hiba: «Hitler diceva che per distrugger­e un popolo basta distrugger­e il suo passato. Noi non abbiamo bisogno d’un Hitler per fare a pezzi il nostro ieri: stiamo facendo benissimo da soli. Spero l’occidente capisca che la nostra civiltà va messa in sicurezza». Se la bellezza salverà il mondo, il mondo ha voglia di salvare questa bellezza?

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 ??  ?? Prima e dopo Sopra la città vecchia di Tripoli, con il souk, il mercato, durante i primi del ‘900 e sotto gli stessi posti come sono oggi. A destra Hiba Shalabi, 41 anni, fotografa libica che ha lanciato una campagna di immagini in rete con l’hashtag...
Prima e dopo Sopra la città vecchia di Tripoli, con il souk, il mercato, durante i primi del ‘900 e sotto gli stessi posti come sono oggi. A destra Hiba Shalabi, 41 anni, fotografa libica che ha lanciato una campagna di immagini in rete con l’hashtag...

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