Salvatore Carrubba: «Deluso da Berlusconi irrideva il buonismo»
«Piero era uno della vecchia guardia che aveva dato vita al Centro Luigi Einaudi fondato dalla famiglia Guerrini. Un Centro impegnato nella formazione della classe dirigente e nel dibattito di idee». Lo ricorda così Salvatore Carrubba, attuale presidente dell’istituzione.
Era un liberale alla Kant: pensare con la propria testa, essere sempre critici?
«Sì, lo dice il titolo della rubrica che tenne sul “Corriere”: “Il dubbio”. Il dubbio è espressione del liberalismo critico nel quale si è riconosciuto, pur senza una partecipazione politica diretta. Fece conoscere Ralf Dahrendorf e rinnovò l’impronta conservatrice che il liberalismo aveva in Italia».
Il suo continuo riconoscimento del pluralismo era una forma di relativismo?
«Si poneva il problema dei paradossi del liberalismo ma negli ultimi anni aveva assunto espressioni vicine al liberalismo radicale: non un anarco-liberalismo, ma era sempre più scettico circa l’intervento dello Stato».
Le esperienze in Urss e Cina avevano rafforzato quest’idea?
«L’intellighenzia italiana non assecondò quanto Ostellino e Renato Mieli riferivano sul regime e sul dissenso in Urss: molti non volevano vedere. Questo rafforzò la sua consapevolezza di essere un bastian contrario. Oggi mi pare confermata la sua tesi che certi regimi non si possono correggere dall’interno».
Pensava che un certo illuminismo sei-settecentesco si fosse tradotto in democratismo e populismo. Ma aveva sostenuto Berlusconi.
«Non l’ostracizzava ma credo ci sia stata forte delusione. Vedeva in Berlusconi un politico adatto ad arginare la tentazione statalista. Ma Piero teneva alla libertà e non si sarebbe mai identificato con nessun partito, l’indipendenza era una sua caratteristica».
Criticava l’idea di fondare un nuovo multiculturalismo in nome della convivenza con l’islam.
«Viveva anche in Provenza, dove la Le Pen ottiene grandi consensi perché l’alta immigrazione ha rotto gli equilibri: credo che questo abbia pesato. Secondo lui si dovevano spingere i musulmani alla consapevolezza critica, a uscire dall’ortodossia. Non vide mai nelle Primavere arabe dei sani movimenti rivoluzionari contro i vecchi regimi».
Il buonismo era, per lui, una formula retorica.
«Ci ironizzava. Il politically correct non era altro che l’espressione del conformismo, che è il nemico della libertà. La pensava come David Hume: ragionare, discutere e no alle appartenenze».
Riteneva che la moltiplicazione dei diritti ponesse rischi antidemocratici.
«Sì a causa della moltiplicazione del ruolo dello Stato che li riconosce. Quanto più si allargava l’area delle affermazioni riconosciute per legge e fatte applicare da un giudice, tanto più, per Ostellino, tutto ciò era controproducente».
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Il dubbio è espressione del liberalismo critico nel quale si riconosceva e fece conoscere Dahrendorf