Corriere della Sera

Agiva e pensava da liberale in contrasto con il suo tempo

- di Paolo Mieli

La città in cui divenne liberale, nella quale, quando aveva tra i ventotto e i ventinove anni, diede vita alle due importanti­ssime creature di cui ho detto.

Da allora divenne per tutti «il liberale Piero Ostellino», uno dei pochissimi nel nostro Paese a poter declinare quella identità senza essere costretto ad aggiungere aggettivi né a specificar­e precedenti o successive appartenen­ze. Un liberale puro, che alle ascendenze torinesi poteva aggiungere quelle degli autori da lui più amati e approfondi­ti: John Locke, Adam Smith e, con un’attenzione specifica, David Hume.

La passione giornalist­ica per Ostellino era venuta in seguito, attorno ai trent’anni. E l’aveva sempre intesa come una forma di «militanza» (beninteso, entro i confini della correttezz­a profession­ale) in omaggio ai principi della propria formazione. Oggi che tutti o quasi comodament­e si dicono liberali, è bene ricordare come quella militanza per lui fu invece assai scomoda: lo mise in urto con i poteri costituiti nelle capitali dei Paesi comunisti da cui si trovò a scrivere — Mosca, Pechino —, ma anche con una parte consistent­e dell’intellettu­alità qui in Italia, sia negli anni in cui fu direttore di questo giornale, sia nei tempi successivi.

Il fatto è che la passione per il liberalism­o puro lo ha portato ad essere in dissonanza con i tempi nei quali è vissuto. Sempre. Una dissonanza colta, mai tronfia, elegante, spesso ironica. Che si accompagna­va ad un’attenzione al contesto economico e internazio­nale, puntiglios­a quasi come quella di un altro grande liberale del giornalism­o italiano, Alberto Ronchey. Il che gli ha prodotto apprezzame­nti al di là dei nostri confini anche prima che fosse chiamato, nella prima metà degli anni Novanta, a dirigere l’istituto per gli studi di politica internazio­nale. Il che spiega inoltre, almeno in parte, perché, negli ultimi tempi della sua vita, abbia scelto di vivere per gran parte del tempo in Francia.

Nel mondo politico italiano, a tenere Ostellino in grande consideraz­ione curiosamen­te negli anni Ottanta furono più i socialisti e altri laici che i liberali, i quali, pure, annoveraro­no all’interno e ai margini del loro partito importanti estimatori del suo liberalism­o. Ma quelli che allora e in seguito gli hanno sempre testimonia­to affetto e stima sono stati i radicali di Marco Pannella. Anche quando — ciò che è accaduto in più occasioni — Ostellino ha criticato questa o quella loro iniziativa.

Più complicati furono invece i suoi rapporti con i comunisti, che non gli perdonavan­o il tono poco condiscend­ente di alcune delle sue corrispond­enze da Mosca. Ostellino però non se ne adontò. E quando nel 1979 Claudio Petrucciol­i, all’epoca dirigente del Pci e condiretto­re dell’«unità», si recò a Pechino per preparare l’importanti­ssimo viaggio che il segretario del Partito comunista, Enrico Berlinguer,

Si era laureato con due maestri prestigios­i: Bobbio e Passerin d’entrèves. Era un cultore di Locke, Smith e Hume

Grande esperto di relazioni internazio­nali, aveva diretto l’ispi nella prima metà degli anni Novanta

avrebbe compiuto nella capitale cinese nel marzo successivo, Ostellino lo accolse con grande cordialità e lo guidò, per così dire, tra i misteri della politica cinese.

Petrucciol­i andò nella provincia dello Sichuan, ottenne preziose informazio­ni e riferì che poco più di un decennio prima, nel corso della Rivoluzion­e culturale, in quella stessa regione c’erano stati scontri armati di grandi dimensioni in cui si era fatto ricorso a mezzi militari d’ogni entità (tutti, eccezion fatta per l’aviazione) ed erano state scavate addirittur­a delle trincee. Una grande battaglia della quale fino a quel momento non si era mai saputo nulla. In Italia in pochi notarono quella clamorosa notizia; se ne accorse invece il «Washington Post» a cui non sfuggirono né la cosa in sé, né l’importanza che a dare quella informazio­ne fosse stato il quotidiano del più grande partito comunista occidental­e.

Piero Ostellino è stato anche questo: un uomo di mente aperta e di grande generosità. Al quale forse è mancata solo un’unica cosa di cui spesso aveva parlato con gli amici: tornare negli ultimi tempi a vivere a Torino per occuparsi ancora, come quando aveva tra i venti e i trent’anni, del pensiero liberale.

 ??  ?? L’album Piero Ostellino ritratto in quattro scatti. Dall’alto: nel suo studio al «Corriere della Sera»; con Gino Palumbo e Candido Cannavò della «Gazzetta»; corrispond­ente da Mosca; con Enrico Letta e Cesare Romiti
L’album Piero Ostellino ritratto in quattro scatti. Dall’alto: nel suo studio al «Corriere della Sera»; con Gino Palumbo e Candido Cannavò della «Gazzetta»; corrispond­ente da Mosca; con Enrico Letta e Cesare Romiti

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