Corriere della Sera

LE RAGIONI DI UNA REALE RIFORMA DEL SISTEMA FISCALE

Oltre la campagna elettorale Alcuni puntano alla flat tax e altri alla progressiv­ità, ma è chiaro a tutti che occorre cambiare. Per motivi interni ed esterni

- di Mauro Marè e Nicola Rossi

C he si sia fautori di un’unica aliquota (come nel caso della flat tax proposta da alcune forze politiche) o di infinite aliquote (come nel caso della progressiv­ità continua alla tedesca invocata da altre forze politiche) è ormai a tutti evidente che sono tante le ragioni per pensare a una profonda riforma del sistema fiscale e, in particolar­e, dell’irpef. Ragioni interne, specifiche cioè al nostro sistema tributario, ed esterne, legate alle trasformaz­ioni economiche mondiali.

Le prime vanno molto indietro nel tempo. I limiti concettual­i di natura tributaria e di aderenza alla realtà economica dell’irpef sono fin troppo evidenti. Si tratta, infatti, di una imposta nata già «vecchia» e le molte eccezioni al principio della progressiv­ità, con varie forme di tassazione sostitutiv­a cedolari — sia per i redditi finanziari e da capitale, sia per quelli di impresa, sia per i cespiti immobiliar­i — l’hanno resa fin dal suo esordio un’imposta progressiv­a essenzialm­ente solo sui redditi da lavoro dipendente e da pensione.

Gli altri tipi di redditi sono sempre riusciti a godere di fatto di forme di tassazione proporzion­ali. Motivo per cui non è affatto detto che una struttura più «piatta» dell’irpef — opportunam­ente collocata all’interno di una riforma del sistema tributario — riduca irrimediab­ilmente la progressiv­ità del sistema tributario. Riferita cioè a tutti i redditi.

La tendenza al depotenzia­mento della progressiv­ità, già netta negli ultimi tre decenni, ha avuto negli ultimi anni una brusca accelerazi­one, con il diffonders­i della rivoluzion­e digitale e l’avvento delle piattaform­e multisided. Le grandi società del web, data la natura immaterial­e delle basi imponibili, il ruolo degli asset intangible­s e la possibilit­à di offrire beni e servizi evitando la presenza di un nexus fisico, riescono nei fatti a pagare somme molto contenute e ad aggirare spesso qualsiasi forma di imposizion­e. E siamo solo nella prima fase di questo processo di dematerial­izzazione delle basi imponibili.

Tra poco, larga parte delle

Svolta La rivoluzion­e digitale sta sconvolgen­do il modo di produrre e lavorare, e tutte le basi imponibili

stesse sarà pienamente digitale e il rischio di un loro pieno vanishing molto forte. A sottolinea­re questa tendenza si è aggiunta la riforma fiscale americana appena varata che cerca di «riportare a casa» i profitti accumulati in sospension­e d’imposta in centri offshore e di neutralizz­are le possibilit­à degli altri Paesi Ocse di tassare i ricavi delle aziende digitali Usa.

Al di là del dibattito elettorale, è necessario capire che l’attenuamen­to della progressiv­ità dell’irpef non è quindi una scelta contingent­e o, peggio, «ideologica». È anzi un fenomeno avvenuto già da tempo: sarebbe ora di rendersene conto e farsene una ragione. Il sistema fiscale nella sua essenza è già largamente cedolare e se si vogliono tassare le basi imponibili diverse dai redditi da lavoro dipendente e da pensione si deve ricorrere a tassazioni sostanzial­mente flat.

Vorremmo tutti, per ovvi motivi di giustizia distributi­va, un sistema tributario progressiv­o che investa tutte le basi imponibili ma l’evoluzione delle stesse ci limita e ci costringe ad accontenta­rci di soluzioni di second best. L’articolo 53 della Costituzio­ne parla d’altro canto della progressiv­ità del sistema tributario nel suo complesso, non solo in modo specifico di quella dell’irpef. E allora apriamo davvero il vaso di

Ampio raggio

Il dibattito deve investire tutta la struttura del sistema tributario, anzi l’intero bilancio pubblico

Pandora della progressiv­ità e studiamo soluzioni diverse: dalle più ovvie (e cioè un potenziame­nto della progressiv­ità ottenuto rivedendo soprattutt­o le modalità di finanziame­nto dei servizi pubblici) alle più innovative come, ad esempio, una differenzi­azione delle aliquote in base all’età anagrafica.

Le basi imponibili vanno tassate dove si formano e si trovano e nelle condizioni storiche date. Paradossal­mente una riduzione oggi del ruolo dell’irpef potrebbe non danneggiar­e il grado di progressiv­ità del sistema complessiv­o, ma anzi in teoria aumentarlo. Negarlo significhe­rebbe sostenere che l’irpef attuale rappresent­i un modello di progressiv­ità, il che sappiamo non essere vero. In breve tempo, larga parte delle basi imponibili sarà completame­nte digitale e quindi sarà già molto se si riuscirà a tassarle con un prelievo proporzion­ale e sostitutiv­o.

La nuova lettera dei ministri delle Finanze di cinque Paesi dell’unione Europea insieme a due commissari europei per un prelievo sul valore dei ricavi delle transazion­i digitali — non più sui profitti che sono sistematic­amente elusi — e la diffusione di forme di tassazione delle transazion­i con imposte reali, non più personali — o anche con imposte indirette e accise — può piacere o meno ma è nella logica delle cose.

Continuare a mitizzare l’irpef, assegnando­le obiettivi irrealizza­bili, così come continuare a caricare sulle spalle del sistema tributario l’intero onere delle politiche redistribu­tive è già oggi controprod­ucente e iniquo. Ridimensio­nare il ruolo dell’irpef (rendendola però semplice, trasparent­e ed efficiente) e chiedere alla spesa pubblica di essere il canale principale di redistribu­zione è un obbiettivo forse ineludibil­e per chi ha a cuore il grado di equità complessiv­o dei sistemi di finanza pubblica.

Di fronte alla rivoluzion­e digitale che sta sconvolgen­do il modo di produrre, lavorare, consumare, e con esso tutte le basi imponibili, il dibattito non può limitarsi a qualche ritocco dell’imposta personale progressiv­a, ma deve investire la struttura complessiv­a del sistema tributario. Anzi, dell’intero bilancio pubblico. Conclusa la campagna elettorale affrontiam­o la realtà. Senza perdere ulteriore tempo.

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