Spunta anche il «governo di tregua»
I partiti alle prese con le soluzioni possibili. Il giornale dei vescovi: esecutivo a tempo sostenuto da tutti
Il paradosso attorno al quale ruotano tutti i ragionamenti dentro e fuori dal Palazzo è che i numeri non fanno una maggioranza possibile, e che una maggioranza possibile potrebbe non avere i numeri. Infatti le intese con più ampio margine di voti in Parlamento sembrano le meno attuabili. La prima prevederebbe un patto tra centrodestra e M5S: numeri larghissimi, ma realizzabilità dell’intesa ridotta al lumicino a detta dei protagonisti. Difficilissimo sembra anche un patto di larghe intese tra centrodestra e Pd, che metterebbe in estremo imbarazzo sia il leader leghista, sia il partito di Renzi. Almeno dall’atteggiamento mostrato fin qui, più L’incontro
● Dopo il vertice di Matteo Salvini con i parlamentari della Lega, mercoledì Silvio Berlusconi convocherà a raccolta a Roma gli eletti nelle fila di FI per tracciare la linea in vista dei prossimi appuntamenti realistica potrebbe apparire un’intesa tra M5S e Pd, soprattutto se la linea di Renzi sul no a qualsiasi alleanza fosse travolta nel partito: ma in questo caso, per avere una maggioranza con un minimo di margine di sicurezza, servirebbe il sì di tutto il gruppo del Pd più Leu. E con numeri risicati si reggerebbe anche un governo M5s-lega, improbabile almeno per la difficoltà nel trovare un’intesa tra Salvini e Di Maio, che sperano di fronteggiarsi non solo oggi ma anche in futuro.
Ecco quindi che nelle discussioni all’interno dei partiti si arriva sempre all’unica ipotesi che pare pur ardua ma percorribile: un governo «del presidente», o di «tregua», o di «scopo», o «utile» come lo definisce il giornale dei vescovi Avvenire invocandolo, che veda la partecipazione di tutti i partiti, più con un sostegno da fuori che con la partecipazione diretta nella compagine di governo, per un periodo limitato e con un programma limitato (mettere in sicurezza le clausole di salvaguardia, fare la legge elettorale) prima di tornare presto al voto.
Mentre i contatti tra i partiti sembrano ridottissimi, con gli sherpa che ancora non hanno mosso i passi decisivi, in questa ottica andrebbero lette le parole di ieri di Salvini. La sua richiesta delle presidenze delle Camere per Lega e M5S assieme al no a ogni «inciucio» fa capire come pensi a un percorso il più lineare possibile: ai vincitori vanno le presidenze, poi si proverà a formare un governo ma solo sulla base della condivisione del programma del centrodestra (no a larghe intese quindi), e subito dopo ci sarà il congresso per trasformare il suo partito in «Lega Italia». Essere personalmente al governo, se non in questo quadro, importa poco a Salvini, che invece avrebbe lo speculare interesse di Di Maio: tornare al voto presto, approfittando dei mesi di governo per rafforzare la sua leadership a destra ai danni di FI, così come il capo del M5S potrebbe fare nei confronti del Pd. Gioco che non piace a FI già infastidita dal protagonismo dell’alleato, e che vede in allerta il Pd. Per questo la soluzione forse più percorribile è ancora da costruire.