Corriere della Sera

Le consultazi­oni in Italia mentre Merkel e Macron prenoteran­no le poltrone

- di Marco Galluzzo

ROMA La Germania ha prenotato la guida della Bce. La Francia vuole quella della Commission­e. Berlino e Parigi stanno già trattando, Macron e la Merkel ne discuteran­no a fine mese, a Parigi, in un vertice che riguarderà le cariche della futura Unione e le riforme cruciali da approvare nei prossimi due anni. Più o meno a cavallo delle consultazi­oni per la formazione di un governo in Italia.

Il successore di Tusk

Chiamarlo, con un po’ di enfasi, il Grande gioco sul futuro della Ue, non è forse azzardato, visto che nel pacchetto c’è anche la costituzio­ne di un bilancio dell’eurozona, la formazione di un Fondo monetario del Vecchio continente, la fusione del capo dell’eurogruppo con la figura del Commissari­o alle Finanze, il completame­nto dell’unione bancaria e i primi passi di quella della Difesa.

Ma se a Bruxelles non fanno mistero, negli uffici di Jucker come in quelli di Tusk, che «il gioco è già entrato nel vivo e che a fine anno si scoprirann­o le carte», il dato assodato è che al momento l’italia sta alla finestra. Prima del voto, sino a poche settimane fa, Paolo Gentiloni veniva inserito in una rosa di possibili successori di Donald Tusk, nella poltrona di presidente del Consiglio europeo. Ora, dopo la disastrosa performanc­e elettorale del Pd, le sue quotazioni appaiono in calo, così come le ambizioni del nostro Paese ad avere una voce in capitolo, e determinan­te, nelle trattative che nel giro di 12-18 mesi definirann­o un volto completame­nte nuovo dell’ue. Non è andata meglio ad Antonio Tajani, che di sicuro non beneficerà del risultato di Forza Italia, né della sua candidatur­a, offerta quasi controvogl­ia, e durata non più di 48 ore.

Il voto del 4 marzo, con le incognite che ha prodotto, rischia di moltiplica­re i gap che oggi definiscon­o il nostro rapporto con le istituzion­i di Bruxelles. Ne sono consapevol­i anche a Roma, alla Farnesina, come al Quirinale. Non è tanto e non solo il taglio del programma dei partiti che hanno vinto nelle urne, i 5 Stelle e la Lega. È piuttosto, e sempliceme­nte, un’assenza che si va dilatando, obtorto collo: ripiegati su noi stessi, concentrat­i sino allo spasmo per risolvere la crisi di politica interna, rischiamo di restare indietro in un momento di metamorfos­i della Ue. Come terzo Paese europeo Berlino e Parigi non potranno fare a meno di noi, ma è anche vero che loro potrebbero trattarci con una sorta di benevolenz­a interessat­a e di facciata, e noi potremmo ritrovarci a stringere risultati che in realtà saranno concession­i.

L’esempio tedesco

Si può sostenere che la Germania ha vissuto sei mesi senza governo, ma è anche vero che Berlino può stare in stand by senza pagarne le conseguenz­e: i segretari generali del Parlamento, della Commission­e e del Servizio di Relazione Esterne parlano tedesco. E di fronte alla debolezza estrema dei socialisti europei, forse al punto più basso degli ultimi decenni, il Ppe rischia di farla da padrone, ma con un ruolo italiano, visto il risultato di Forza Italia, largamente indebolito. È anche vero che il blocco di Visegrad potrebbe mettersi di traverso, da Varsavia a Budapest il vento dello scontento europeo non ha mai soffiato così forte, eppure si sta già negoziando il Bilancio pluriennal­e 2021-2028, e il rischio che le posizioni sovraniste portino con sè meno finanziame­nti è un potente deterrente per la concretezz­a delle stesse.

Le nomine

In questo quadro è emblematic­o il caso di Martin Selmayr: oggi il Parlamento metterà sotto pressione la Commission­e sulle procedure che hanno portato alla sua nomina lampo, come nuovo segretario generale. Fioccano le accuse di mancanza di trasparenz­a e disinvolta gestione del dossier, arrivano soprattutt­o da establishm­ent e media inglesi e

francesi, dai Verdi come dai socialisti. Ma è anche vero che l’uomo chiave a capo di una macchina burocratic­a di 33 mila persone, è da sempre una prerogativ­a del presidente della Commission­e. Accadde anche per Prodi, che nominò l’irlandese O’sullivan, prima suo capo di gabinetto. La nomina di Selmayr, 47 anni, tedesco, ha fatto rumore anche perché a sorpresa, spiazzando tutti.

I dossier

Selmayr è una figura controvers­a, atipica nel panorama bruxellese, poco incline ai riti burocratic­i e capace di rompere gli schemi. È nota la sua allergia ai compromess­i, come la sua capacità di problem solver. Qualcuno lo ritiene il cavallo di Troia della Merkel nella Commission­e, lui si professa europeo prima che tedesco, rivendica la regia della flessibili­tà sui conti di tanti Paesi, dall’italia al Portogallo, di non aver ceduto alle richieste di Londra sulla Brexit. Potente, con molti nemici dentro la Commission­e, sotto accusa: oggi inizia un dibattito in cui spicca, anche qui, la distanza di Roma dal dossier.

Il segretario generale All’esame del Parlamento la nomina di Selmayr, poco incline ai riti burocratic­i

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I ruoli e il «risiko»
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