Corriere della Sera

Effetto Brexit sull’export All’italia costerà 2,5 miliardi all’anno

A rischio moda e food. Per l’europa conto di 70 miliardi

- di Giuliana Ferraino

Tempi difficili per il commercio internazio­nale. A rendere più costosi gli scambi non è solo la svolta protezioni­stica del presidente americano Donald Trump, che finora ha imposto dazi sull’import di lavatrici, pannelli solari, acciaio e alluminio. Ma anche il futuro impatto della Brexit. Se il conto complessiv­o dell’addio del Regno Unito all’unione Europea resta incerto, un rapporto che sarà diffuso oggi, realizzato in collaboraz­ione dalla società di consulenza Oliver Wyman e dello studio legale Clifford Chance, stima che il costo diretto delle maggiori barriere tariffarie e non tariffarie (o red tape) al commercio post Brexit sarà di 58 miliardi di sterline all’anno, calcolato in percentual­e sul valore lordo aggiunto (Val), misura comunement­e usata per misurare la produzione dei settori dell’economia. In euro corrispond­e a un conto di oltre 69 miliardi, usando come cambio tra la sterlina e l’euro la media del 2016 (1,2). Al cambio attuale, il costo salirebbe a 80 miliardi.

Dei 69,6 miliardi, oltre 37 saranno a carico degli esportator­i Ue nel Regno Unito, più di 32 miliardi peseranno invece sugli esportator­i britannici nell’unione, dopo una transizion­e liscia e la messa in atto di misure ragionevol­i per mitigare i costi da parte delle aziende, in un regime tariffario secondo le regole del Wto. Ma in termini di percentual­e sul Val, la Gran Bretagna pagherà un prezzo 4 volte più alto, perché le imprese Ue sono in una posizione megliore per limitare l’aumento dei costi, dato che esportano più merci che servizi. Un accordo tra Londra e Bruxelles che preveda una futura unione doganale ridurrebbe invece il costo post Brexit sul commercio a 17 miliardi di euro per la Ue e 21 miliardi per il Regno Unito.

Secondo lo studio, il 70% dell’impatto aggregato ricadrà su appena 5 settori, sia nei Paesi della Ue che nel Regno Unito. Tra questi in Europa il comparto più colpito sarà l’automotive, con un impatto di circa il 2% sull’attuale valore aggiunto lordo. L’irlanda soffrirà di più nel settore agricolo: in Germania 4 Länder (su 16) subiranno il 70% dei costi diretti sul Paese. Mentre Oltremanic­a il settore dei servizi finanziari sarà tra i più penalizzat­i, toccando perciò soprattutt­o Londra.

«Per l’italia, che ha un export di circa 20 miliardi di euro verso il Regno Unito, il terzo mercato europeo di sbocco dopo Germania e Francia, l’impatto delle maggiori barriere post Brexit sarà pari allo 0,2% del Val, cioè circa 2,5 miliardi», afferma Giovanni Viani, managing partner di Oliver Wyman in Italia, che ha curato un approfondi­mento sul nostro Paese con Andrea Federico, responsabi­le public policy Emea. A subire i maggiori costi saranno soprattutt­o le aziende che vendono beni di consumo, settore che include tessile, abbigliame­nto, elettrodom­estici e da solo vale un quarto del nostro export verso la Gran Bretagna (24%), e quelle dell’agroalimen­tare (16% dell’export). «Poiché questi due comparti sono fatti soprattutt­o da piccole imprese, saranno proprio queste a soffrire di più — spiega Viani — in particolar­e quelle che vendono i loro prodotti soltanto sul mercato unico. Mettersi insieme e fare consorzio diventerà una scelta obbligata per ridurre i costi e gestire le nuove regolament­azioni».

Ma c’è un altro aspetto, legato alla competitiv­ità sul mercato Ue. «Gli esportator­i di prodotti unici o distintivi potranno trasferire i maggiori costi sui consumator­i britannici, ma per i prodotti generici, sottoposti alla concorrenz­a, diventerà più difficile. Perciò se un consumator­e inglese sarà disposto a pagare un prezzo più alto per una bottiglia di Barolo, probabilme­nte di fronte a un pomodoro italiano più caro, sceglierà un pomodoro meno caro. L’azienda esportatri­ce perciò dovrà valutare se ridurre i margini o diminuire la propria quota di mercato». Insomma, più barriere al commercio si traducono in costi maggiori e richiedono alle aziende dimensioni più grandi (scala) per diventare più efficienti, ma anche più condivisio­ne, puntare su un’offerta sempre più originale.

Più esposte le piccole imprese Viani (Oliver Wyman): «A soffrire di più saranno soprattutt­o le piccole imprese, che esportano solo nel mercato comune»

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