Il voto dei (cinque) dissenzienti «esercizio pluralista»
Il voto dei 2.964 delegati del Popolo era a scrutinio segreto. Sono mancati all’unanimità assoluta solo sei consensi, non sappiamo e probabilmente non sapremo mai chi sono i due compagni che hanno barrato il «no», i tre che hanno lasciato la scheda in bianco, perché una sia stata dichiarata «non valida». Fuori dall’aula il deputato Zhang Zhilong, di professione medico a Tianjin è contento: «Ottima atmosfera, bella prova di democrazia. I due “no”? È normale che le persone abbiano opinioni diverse». Prevedendo le domande dei giornalisti Ma Shanxiang, selezionato dalla megalopoli di Chongqing che fino al 2012 era guidata da quel Bo Xilai che cercò di arrestare l’ascesa di Xi ed è finito all’ergastolo per corruzione e abuso di potere, si era preparato un foglietto, lo tira fuori dalla tasca e legge: «Splendido risultato, ma non avevo dubbi, avevo fede io e il grande applauso finale lo dimostra, lo avete sentito anche voi, no?». Inutile cercare pareri controversi al Congresso. Ma non tutti i cinesi sono d’accordo. Il 25 febbraio, quando è stata annunciata la riforma che cancella i limiti temporali della presidenza, è comparsa una lettera aperta ai delegati che denunciava «il rischio di ripiantare i semi del caos dei tempi di Mao». L’autore è l’ex direttore del Quotidiano della gioventù, Li Datong. Che ha spiegato di essere «abbastanza vecchio per non aver paura delle conseguenze». Sul web qualcuno ha criticato «Xi Zedong», altri hanno scritto «Wo fandui», che significa «Sono contro». Tutto subito cancellato dalla censura.