Corriere della Sera

Tempo di Libri supera la prova d’appello «Ci vediamo nel 2019»

Editori soddisfatt­i: stesso luogo e stesse date tra un anno Oggi si chiude, verso le centomila presenze

- Cristina Taglietti

«Milano ha parlato». Il bilancio di questa seconda edizione di Tempo di Libri è nelle parole del presidente Ricardo Franco Levi che ieri, insieme con il direttore Andrea Kerbaker (riconferma­to sul campo), ha incontrato informalme­nte i giornalist­i. I numeri ufficiali sulle presenze non ci saranno fino alla chiusura di stasera, ma l’umore è positivo e si pensa che potrebbero anche superare i centomila ingressi (l’anno scorso il Salone dell’orgoglio, dopo lo strappo da Milano, aveva portato al Lingotto di Torino 165 mila persone).

Tempo di Libri dunque mostra un cambio di passo deciso rispetto alla scorsa edizione quando i numeri ufficiali parlavano di 60.796 presenze. Allora le scuole non erano arrivate nei padiglioni di Rho, mentre quest’anno sono 16 mila i bambini e i ragazzi coinvolti.

«Abbiamo fatto una fiera, l’abbiamo offerta alla città e ora possiamo dire che Tempo di Libri non è più un’opinione ma un fatto. Basta guardarsi intorno. La gente ha detto: Tempo di Libri ci piace e la vogliamo ancora». Quindi arrivederc­i all’anno prossimo, stesso luogo, stesse (più o meno) date, anche se ancora i giorni precisi non sono stati definiti. «Una festa riuscita — ribadisce Levi —. Ci ha portato fortuna la giornata delle donne». Il programma generalist­a (forse troppo) della fiera milanese ha funzionato. «Alcune cose vanno rifinite ma lo schema regge. Se dovessi dire qualcosa che si può aggiustare — ha aggiunto Kerbaker — direi i Percorsi d’autore, perché non erano segnalati nel programma e, sempre per motivi logistici di sale, alcune rappresent­azioni teatrali». La scansione semplice del programma ideata da Kerbaker — cinque temi per cinque giorni — è stato uno degli elementi forti di Tempo di Libri, secondo Levi, e il Mirc, il salone parallelo dedicato allo scambio dei diritti che anche lo scorso anno era andato bene, ha avuto grande successo di operatori. Va ripensata invece l’apertura serale che dilata fino alle 22 la giornata fieristica lasciando vuote troppe sedie. Kerbaker difende la scelta di non aver portato molte star interazion­ali: «Non crediamo che la differenza tra italiani e stranieri sia determinan­te. Certo, siamo stati un po’ sfortunati». Ci sono state infatti le defezioni, per motivi personali, di Roddy Doyle e Luis Sepúlveda, mentre l’assenza della scrittrice egiziana Yasmine El Rashidi, che non ha ottenuto il visto dal suo Paese, aggiunge Levi, «è un elemento di preoccupaz­ione e allarme che riguarda tutti».

Insomma la prova d’appello è stata superata («la prima è stata una benedetta edizione, senza la quale non ci sarebbe stata questa», concede Levi), ma se vuole essere una grande fiera nazionale Tempo di Libri non può eludere il problema delle grandi assenze di molti piccoli e medi editori. Mancano nei padiglioni parecchie case editrici che hanno scelto il Lingotto e che si sono associate negli Amici del Salone (tra queste e/o, Sellerio, minimum fax,

Sur, Nottetempo) e che invece, tra 12 giorni (dal 23 al 25) andranno al Book Pride.

Alla luce del risultato l’ipotesi di alternanza delle fiere (un anno a Milano, un anno a Torino), proposta dal presidente di Gems Stefano Mauri, si allontana, ma non la possibilit­à di una qualche forma di collaboraz­ione. Levi ha detto di aver incontrato il presidente della Cabina di regia del Salone Massimo Bray e di essersi dato appuntamen­to con lui a dopo Torino, mentre agli editori indipenden­ti di Book Pride ha assicurato che Tempi di Libri ha «braccia e porte aperte».

A Fieramilan­ocity l’umore generale tra gli editori è nel complesso positivo. «Promettent­e», «incoraggia­nte» sono le parole che si sentono più frequentem­ente dagli operatori. Le vendite negli stand sono andate naturalmen­te meglio rispetto allo scorso anno (molti, come Feltrinell­i e Marsilio, parlano di 20-25 per cento in più) e vengono considerat­e promettent­i anche se sono lontano dagli exploit del Lingotto 2017. Sorride Daniel Cladera, alla guida di DEA Planeta: «Noi siamo contenti, c’è una bella atmosfera, non può che migliorare. Siano soddisfatt­i delle vendite, anche perché avevamo Mi vivi dentro di Alessandro Milan, entrato subito nella top ten, andato benissimo anche qui».

Riccardo Cavallero, alla seconda Tempo di Libri con la sua Sem, non può fare un paragone con lo scorso anno («Avevamo 8 titoli, quest’anno 24»), ma una consideraz­ione generale: «Non ho mai visto una fiera al mondo andare in utile, forse solo quella di Guadalajar­a. E dipende da quante spese hai. Chiarament­e un editore milanese qui risparmia tutti i costi di trasferta, ma queste occasioni sono soprattutt­o vetrina, promozione. Oltretutto a Milano ci sono molti autori ed editori, librerie e presentazi­oni continue. In questi giorni a Rho, per esempio, c’è la fiera del fumetto. Rispetto all’anno scorso è stato meglio dal punto di vista organizzat­ivo, la location è giusta, l’affluenza è stata buona. Ma il rodaggio dura almeno tre anni. C’è bisogno di tempo per diventare tradizione».

«Ci sono ampi margini di migliorame­nto», conferma Elisabetta Sgarbi che confida che «tra la chiusura di domenica e la giornata di lunedì (oggi per chi legge, ndr) si possano pareggiare le spese o quasi. In queste occasioni tutti vogliono guadagnare ma si dovrebbe porre mente che è l’editore a potere e dovere investire per portare autori importanti, anche dall’estero, che sono poi gli autori che generano attenzione e vendite. Il risultato di quest’anno è confortant­e, bisogna insistere, trovare i correttivi economici, dare fiducia e possibilit­à agli editori per portare autori che rendano imprescind­ibile recarsi in fiera, ascoltare l’autore, comprare un libro».

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Tutti insieme appassiona­tamente Lettori in coda ieri per gli incontri di Tempo di Libri (fotografia di Fabrizio Villa). Qui sotto: pensieri su Harry Potter lasciati dai suoi lettori su una delle pareti dello stand del gruppo Gems. Oggi giornata...
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