L’abbraccio dell’italia al suo Davide
L’omaggio ad Astori dei tifosi viola e dei suoi compagni, il pianto di Buffon a Torino
FIRENZE A Davide sarebbe piaciuto perché non era di quelli che battono le mani ai morti, avrebbe abbassato gli occhi come si fa in paese, forse avrebbe pianto ma neanche tanto, che non si fa, che occorre andare avanti, per te, per gli altri. Ecco perché gli sarebbe piaciuto un minuto di silenzio così: perché è stato un minuto di silenzio vero, come non se ne sentono mai. O forse sono stati addirittura due o tre, di minuti, a un certo punto era come se nessuno avesse più voglia di parlare, né di levare lo sguardo a quel cielo grigio di nuvole basse che ha scaricato il suo pianto a dirotto solo quando il Franchi ha finito di salutare il suo Davide con la coreografia, ché sennò le bandierine di carta si sciupano, con l’acqua.
Un regalo dal cielo, dice chi ci crede, e però stavolta lo dicono anche tanti di quelli che non ci credono, perché oggi va così, perché oggi siamo tutti qui. Per Davide, per la sua compagna Francesca e la sua bimba Vittoria, per i fratelli Bruno e Marco che sono venuti allo stadio con papà Renato, mentre la mamma non se l’è sentita: resto vicino al mio bambino, ha detto, su al paese.
Ma l’immagine impossibile da levarsi dalla mente di questo Fiorentina-benevento 1-0, oltre alla partita fermata al minuto 13 in omaggio alla maglia di «Asto» e fra le mille di una domenica che non dimenticheremo, è quella dei giocatori stretti in mezzo al campo, prima di cominciare, come fossero in barriera. Una striscia violagiallorossa idealmente abbracciata non solo a tutto lo stadio ma anche a tutti quelli che Davide Astori lo hanno conosciuto solo dalla tivù perché era un bravo calciatore, ma che adesso l’hanno capito che non era uno normale, che era speciale.
L’ha spiegato Pioli, commosso — «Nulla sarà più lo stesso» — negli stessi istanti in cui Andrea e Diego Della Valle si riavvicinavano al «popolo viola» ringraziandolo «per la dignità e il coraggio» e, a Torino, Buffon piangeva sulle note de «Le rondini» di Lucio Dalla, simbolo di una serie A che ieri aveva il cuore e la mente a Firenze. Dove la pioggia è andata e venuta in questa strana domenica, insieme alle nuvole basse e alle emozioni.
«Ci sono uomini che non muoiono mai, ci sono storie che verranno tramandate in eterno, buon viaggio capitano», hanno scritto i tifosi della Fiesole su uno striscione che teneva via tutta la curva, mentre dall’altra parte del campo quelli del Benevento, arrivati in 1.500 per provare a portar via un punto d’oro per la salvezza, rispondevano che «un ricordo non muore finché vive nel tuo cuore».
È proprio sotto il loro settore che la Fiorentina ha messo il gol che li ha condannati. A segnarlo Vitor Hugo, nome da letteratura ma soprattutto riserva di Astori, numero di maglia 31, 13 letto al contrario, 31 come l’età che aveva Davide prima che il cuore lo abbandonasse in una stanza d’albergo a Udine. La palla buona, quando l’orologio segnava le 13, perché certi giorni che tu ci creda o no il destino è così, gliel’ha data Saponara, uno dei più tormentati, forse quello più dentro al dramma di tutti. Lo aveva incoraggiato per mesi il capitano, il suo capitano, l’aveva sostenuto quando le cose in campo non gli riuscivano. Ieri giocava per la prima volta titolare. Anche questo a Davide sarebbe piaciuto.