La rinascita (sul ghiaccio) dell’alfiere Planker
Quarti di para ice hockey in Corea: il portabandiera guida l’italia contro la Svezia
Stava diventando maggiorenne. Di lì a poco avrebbe saputo se la Nazionale di hockey su ghiaccio sarebbe stato il suo futuro: «Lo sport era tutta la mia vita». Non proprio: una parte importante era già occupata da Helina, amore di quelli predestinati, compagna di banco all’asilo, storia importante che era nata fra le lezioni alle medie per non finire più.
Un giro in moto con Tommi, l’amico di sempre, alla guida sulle strade dell’alto Adige, i tornanti della Val Gardena a fare da sfondo. La strada bagnata e le ruote che scivolano, l’attimo che cambia la vita. «All’ospedale di Innsbruck mi amputarono la gamba sinistra per un rischio di infezione». Fine del sogno sportivo. Invece no. «Al centro di riabilitazione, in Austria, il fisioterapista mi fa conoscere lo sport paralimpico. Una illuminazione». Tanto che ora gira per le scuole e gli ospedali a spingere chi ha disabilità a fare sport: «Aiuta a superare il trauma. E poi ci si diverte. Tanto». Parola di Florian Planker.
Comincia così a seconda vita di Florian, altoatesino di Selva di Val Gardena, sciatore prima e hockeista ora (per passione, ancora non si vive di sport paralimpico in Italia, una carriera in banca da dividere con allenamenti e tornei, le ferie per poter essere in Corea ai Giochi), tanto bravo da essere stato indicato da Luca Pancalli, presidente del Comitato Paralimpico, quale portabandiera dell’italia a Pyeongchang durante la cerimonia di apertura, sesta paralimpiade per lui, divise equamente fra sci e para ice hockey. «I momenti più emozionanti della mia vita sono stati assistere alla nascita di mia figlia Jana e ricevere la bandiera dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella». Si avvicina subito allo sci. «All’inizio ho pensato: non ce la farò mai». Alla prima curva si butta a terra. «Non sapevo come affrontarla, in equilibrio su uno sci solo». Si rialza e ricomincia. Nel 1997, a vent’anni, è convocato in Nazionale. L’anno dopo è a Nagano, in Giappone, per la sua prima Paralimpiade; nella successiva, a Salt Lake City, Usa, vince un bronzo. Gli propongono di entrare in Nazionale della versione seduta dell’hockey su ghiaccio, nata per Torino 2006, l’olimpiade di casa. Non ha mai scordato il primo amore. Accetta e cambia sport, fondando le Aquile del Sud Tirolo e vincendo ben nove titoli italiani.
La Nazionale è passata da aver subito 56 reti senza segnarne ai Giochi torinesi a giocarsi oggi con la Svezia (ore 11, diretta su Raisport) l’ingresso a una semifinale della Paralimpiade. «Per me l’obiettivo minimo è il terzo posto» annuncia. Complice l’assenza della Russia, per l’italia è un obiettivo e non più un sogno.
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