Corriere della Sera

QUEL BALZO SUL CARRO DEI 5 STELLE

Dem e accordi In nessun Paese d’europa (forse del mondo) si è mai assistito a uno spettacolo del genere, tale da far pensare quasi a una gigantesca gaffe collettiva

- di Paolo Mieli

Ora che la sbornia è passata, si impone una riflession­e in merito all’incredibil­e corsa del ceto medio riflessivo della sinistra italiana in vista di un balzo sul carro dei Cinque Stelle nei minuti successivi alla proclamazi­one dei risultati delle elezioni politiche. Minuti? Diciamo pure frazioni di secondo. Non era stato neanche ultimato lo spoglio delle schede che, appena sono state chiare le dimensioni della débâcle del Pd, si è prodotta una ressa di propugnato­ri d’un rapido sposalizio tra il partito che era stato di Matteo Renzi e il movimento che è ancora di Beppe Grillo. Elementari criteri di stile oltreché di prudenza avrebbero imposto quantomeno qualche giorno di silenziosa riflession­e. Tra l’altro anche sotto il profilo tattico era stravagant­e che un partito (il quale, ancorché in grave crisi, è pur sempre la seconda formazione politica italiana) si andasse ad offrire così sguaiatame­nte ai vincitori. Vincitori che, per di più, sapienteme­nte si sono ben guardati dal calare le scialuppe per accogliere quei naufraghi accomunati dall’esclusivo desiderio di riprendere il loro viaggio verso l’avvenire, nel mentre imputavano al solo capitano la malasorte delle loro imbarcazio­ni. Comunque, a futura memoria, gioverà ricordare l’accaduto escludendo in partenza ogni menzione dei «coerenti», cioè di coloro che già da tempo si erano pronunciat­i a favore dell’incontro tra la sinistra italiana e il movimento di Grillo.

Gli europarlam­entari Barbara Spinelli e Pascal Durand hanno dato la più robusta spinta in direzione dell’abbraccio al M5S nel nome dei loro illustri familiari: «Noi», hanno scritto in un appello al Pd, «figli di militanti antifascis­ti, di chi ha resistito all’oppression­e e all’odio, noi che ricordiamo ciò che i nostri genitori ci hanno raccontato», vi diciamo che «compiacers­i in una confortevo­le opposizion­e, rinunciare a sporcarsi le mani col pretesto che i vostri alleati potenziali non sono di vostra convenienz­a, non è un comportame­nto all’altezza della sfida di oggi». Attenti — ammonivano da Bruxelles — che «ci sono scenari ben peggiori di quello, indicato da Renzi, di divenire la stampella di un governo antisistem­a»: se non cercate un’alleanza con Luigi Di Maio, «potreste diventare il predellino di un governo neofascist­a». Oltretutto, garantiva Barbara Spinelli, «la stessa idea del reddito di cittadinan­za, criticata e svilita dall’establishm­ent italiano, è molto europea». A dare poi la linea in senso più concreto ci hanno pensato il conduttore televisivo Pierfrance­sco Diliberto (con uno specifico manifesto che ha ottenuto grande consenso tra cantanti, attori, registi, appena un po’ meno tra gli scrittori) e l’intera sinistra pugliese capitanata da Michele Emiliano, Massimo D’alema e da un, pur più cauto, Francesco Boccia.

Massimo Cacciari ha avuto fin dall’inizio pochi dubbi: «Da questa disfatta il Pd potrebbe uscirne bene soltanto se ammettesse la sconfitta, riconosces­se la vittoria del Movimento 5 Stelle e si rendesse disponibil­e a sostenere un governo monocolore dei grillini». Non dovrebbero però le sinistre «condivider­e responsabi­lità di governo», ha aggiunto il filosofo, dal momento che, se alcuni di loro andassero ad occupare qualche poltrona, sarebbe «un suicidio». Piero Ignazi, esperto in politica comparata, ha assicurato che «i 5 Stelle hanno cambiato pelle». Il politologo Gianfranco Pasquino — in un tweet da lui stesso certificat­o come «ricco di consensi e critiche» — è giunto alle conclusion­i che sottrarsi all’incontro con i seguaci di Di Maio andrebbe considerat­o «eversivo» («sovversivo», lo ha corretto la Spinelli). Questo perché «rifiutarsi di fare un governo nel Parlamento di una democrazia parlamenta­re,

Aperture «Il Pd sia disponibil­e», sostengono l’ex governator­e Crocetta e l’ex pm Di Pietro

è non solo ignoranza ma protervia nei confronti dei cittadini elettori». L’ex presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta si è mostrato dell’identico avviso: «Il Pd dichiari la disponibil­ità a supportare, anche dall’esterno, un governo a guida M5S». Anche Antonio Di Pietro non ha avuto esitazioni: «Il Pd si metta a disposizio­ne» del partito di Grillo. «Non assuma il volto di un nume irato», ha suggerito in tv lo studioso di populismi Marco Revelli. La vicepresid­ente dem dell’emilia Romagna Elisabetta Gualmini ha previsto però che questo matrimonio si realizzerà solo «tra alcune setti- mane». L’ex presidente della Corte costituzio­nale Gustavo Zagrebelsk­y ha concordato sulla prospettiv­a di «tempi lunghi» ma ha benedetto fin d’ora le nozze con i pentastell­ati: «Non ci troverei niente di strano, la direzione è quella».

Tomaso Montanari prima di pronunciar­si ha tenuto a definire «penosa» oltre a quella del Pd anche l’esperienza elettorale del partitino di Pietro Grasso: un «episodio grave» prodotto, a suo avviso, da un «ceto politico che ha dirottato la richiesta di una sinistra diversa per garantire la propria perpetuazi­one». Poi, però, è tornato sul punto all’ordine del giorno per annunciare: «Se il M5S mi contatta per il ministero dei Beni culturali (e non si capisce se si tratta di

Tentazioni La sensazione è che non sia solo una sbandata, ma una disposizio­ne d’animo che si ripresente­rà

qualcosa che è già accaduto o soltanto di un auspicio, ndr) evidenteme­nte pensa che il mio nome parli a quel pezzo di elettorato che oggi sceglie i 5 Stelle venendo da sinistra». Il direttore di Micromega Paolo Flores d’arcais — a seguito di queste ultime due dichiarazi­oni — ha optato all’istante per un governo con i grillini guidato dal costituzio­nalista di cui sopra e, ove mai si ponessero problemi d’anagrafe, ha promosso lo storico dell’arte da semplice ministro a presidente del Consiglio: il Pd, ha dichiarato Flores, dovrebbe votare per «un governo che abbia come asse prioritari­o la legalità e l’uguaglianz­a, guidato da una grande personalit­à (penso a uno Zagrebelsk­y nella mia generazion­e o a un Montanari per la successiva)». E se il Pd non accettasse il suggerimen­to? La pagherebbe con il dimezzamen­to dei voti: «Nelle inevitabil­i elezioni che sarebbero convocate a breve», ha previsto lo stesso Flores, il partito che fu di Renzi «andrebbe sotto al 10 per cento».

In nessun Paese d’europa (forse del mondo) si è mai assistito ad uno spettacolo del genere, per di più in tempi così ravvicinat­i ad un esito elettorale. Mai. Non fosse per l’autorevole­zza e la notorietà delle persone che hanno ritenuto di pronunciar­si nei modi di cui s’è detto, si potrebbe pensare ad una gigantesca gaffe collettiva. Ma è probabile che i partecipan­ti a questa euforica festa per l’annuncio di matrimonio tra quel che resta della sinistra — di tutta la sinistra, non, si badi, del solo Pd — e un assai recalcitra­nte Movimento 5 Stelle, abbiano voluto comunicare al mondo qualcosa di più. Cosa? Che per loro la partita del movimento operaio e del socialismo riformista italiano è definitiva­mente chiusa, che non hanno intenzione di ricomincia­re a entusiasma­rsi per un nuovo Pd guidato da Maurizio Martina, Graziano Delrio, Nicola Zingaretti o di chi andrà a prender posto al Nazareno. La nostra è solo un’impression­e, ma riteniamo che quella prodottasi a ridosso delle elezioni del 4 marzo non sia stata soltanto una sbandata di donne e uomini in preda alla disperazio­ne, bensì una disposizio­ne d’animo che si ripresente­rà quanto prima. Non necessaria­mente adesso, in tempi di formazione (?) del governo. Ma sicurament­e a ridosso delle elezioni che verranno. Forse presto.

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