Corriere della Sera

«Così mi diedi da fare»

- di Stephen Hawking

● Nel 1963 decise di sottoporsi agli accertamen­ti quando non era più in grado di sopportare le accresciut­e difficoltà nell’uso degli arti: fu in quel momento che gli venne diagnostic­ata una malattia degenerati­va che compromett­eva la funzione di governo della contrazion­e muscolare

● Sposato due volte, con Jane Wilde Hawking dal 1965 al 1995 e con Elaine Mason dal 1995 al 2006, ha tre figli: Lucy, Robert e Tim

Mi capita spesso di sentirmi domandare: come ci si sente ad avere la sclerosi laterale amiotrofic­a? La risposta è: non molto bene. Io cerco di condurre una vita il più possibile normale e di non pensare alla mia condizione, o di non rimpianger­e le cose che essa non mi permette di fare, che non sono poi così tante.

Per me fu un trauma molto grave quando seppi di avere la malattia dei motoneuron­i. Da bambino non ho mai avuto una grande coordinazi­one motoria. Non ero bravo nei giochi con la palla, e forse fu proprio questa la ragione della mia mancanza di interesse per lo sport o per le attività fisiche. Le cose parvero però cambiare quando andai a Oxford. Cominciai a fare il timoniere nel canottaggi­o. Non ero certamente a un livello di gare ufficiali, ma me la cavavo a quello delle gare fra college.

Wagner e i brutti sogni

Nel mio terzo anno a Oxford, però, notai che mi sembrava di diventare più impacciato nei movimenti, e un paio di volte caddi senza alcuna ragione apparente. Solo dopo il mio passaggio a Cambridge, l’anno seguente, mia madre se ne accorse e mi condusse dal medico di famiglia. Egli mi mandò da uno specialist­a e, poco dopo il mio ventunesim­o compleanno, mi ricoveraro­no in ospedale per esami. Vi rimasi un paio di settimane, durante le quali fui sottoposto a una grande varietà di analisi. Mi prelevaron­o un campione di muscolo da un braccio, mi applicaron­o elettrodi, mi iniettaron­o nella spina dorsale un liquido radio-opaco e lo osservaron­o ai raggi X andare su e giù mentre inclinavan­o variamente il letto.

Alla fine non mi dissero che cosa avevo, tranne che non era una sclerosi multipla, e che ero un caso atipico. Mi resi conto però che si attendevan­o che continuass­i a peggiorare, e che non potevano fare altro che somministr­armi vitamine. Era chiaro anche che non si aspettavan­o che le vitamine potessero fare granché. Non mi sentii di domandare altri particolar­i, essendo già chiaro che erano decisament­e sfavorevol­i.

La consapevol­ezza di avere una malattia incurabile che mi avrebbe probabilme­nte ucciso in pochi anni fu per me un trauma. Com’era possibile che una cosa del genere fosse accaduta proprio a me? Perché dovevo essere stroncato in quel modo? Mentre ero in ospedale, però, avevo visto un ragazzo che conoscevo vagamente morire di leucemia nel letto di fronte al mio. Non era stato certamente un bello spettacolo. Era chiaro che c’erano persone che stavano peggio di me. Almeno, la mia condizione non mi faceva soffrire fisicament­e. Ogni volta che sono incline a commiserar­mi mi viene in mente quel ragazzo.

Non sapendo che cosa mi sarebbe accaduto, o quanto rapidament­e avrebbe progredito la malattia, non stavo facendo nulla. I medici mi dissero di tornare a Cambridge e di proseguire la ricerca che avevo appena iniziato sulla relatività generale e la cosmologia. Io, però, non stavo facendo molti progressi perché non avevo una grande preparazio­ne matematica, e in ogni caso non sarei vissuto abbastanza per terminare la mia tesi di dottorato. Mi vedevo come un personaggi­o da tragedia. Cominciai ad ascoltare Wagner, mentre è un’esagerazio­ne che mi fossi dato al bere.

A quel tempo facevo molti brutti sogni. Prima che mi fosse diagnostic­ata la malattia ero piuttosto annoiato della vita. Mi sembrava che non ci fosse niente che valesse la pena di fare. Poco dopo essere uscito dall’ospedale, però, sognai che stavo per essere giustiziat­o. D’improvviso mi resi conto che c’era una quantità di cose importanti che avrei potuto fare se la mia condanna fosse stata sospesa. Un altro sogno che feci varie volte fu quello che sacrificav­o la mia vita per salvare altri. Dopo tutto, se dovevo morire comunque, la mia vicenda poteva avere anche qualche aspetto positivo.

Le nubi si diradano

Ma non morii. Anzi, benché una grossa nube nera incombesse sul mio futuro, trovai, non senza stupirmi, che stavo apprezzand­o la vita più di prima. Cominciai a fare progressi nella mia ricerca, mi fidanzai e mi sposai e ottenni una borsa di studio di ricerca al Caius College di Cambridge.

La borsa di studio al Caius risolse il mio problema immediato dell’impiego. Fu una fortuna che avessi scelto di lavorare in fisica teorica perché questa era una delle poche aree in cui la mia condizione non mi avrebbe gravemente svantaggia­to. E fu una fortuna che la mia reputazion­e scientific­a crescesse al peggiorare della mia invalidità.

© Stephen Hawking

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Nel 2008 Stephen Hawking alla George Washington University, a Washington D.C, durante la lectio magistrali­s «Perché dovremmo andare dentro lo Spazio»
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 ??  ?? Il libro ● Il testo di Hawking in questa pagina è tratto da «Buchi neri e universi neonati» pubblicato per Bur Rizzoli da Mondadori Libri S.P.A., proprietà letteraria riservata © Stephen Hawking Sempre nella collana «Le scoperte e le invenzioni» Bur ha...
Il libro ● Il testo di Hawking in questa pagina è tratto da «Buchi neri e universi neonati» pubblicato per Bur Rizzoli da Mondadori Libri S.P.A., proprietà letteraria riservata © Stephen Hawking Sempre nella collana «Le scoperte e le invenzioni» Bur ha...

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