Doppio mandato: la via della deroga
Di Battista avverte: attenti, va conquistata una presidenza
Il vincolo del doppio mandato è una «regola sacra» per i grillini, ma ogni regola ha una deroga in casi eccezionali. «E se si dovesse tornare al voto entro un anno — dice Di Maio — non faremmo le parlamentarie per le liste. Confermeremmo i candidati di questa legislatura». L’argomento è stato affrontato giorni fa dal vertice del Movimento, ed è una scelta che verrà formalizzata se e quando ce ne sarà bisogno. In prospettiva garantirebbe al leader — che è al secondo giro in Parlamento — la possibilità di ricandidarsi a Palazzo Chigi. Nell’immediato servirà a blindare i gruppi di Camera e Senato, perché dovrebbe agire come deterrente verso quanti sono già al secondo mandato e potrebbero cadere in tentazione, cambiando casacca pur di non tornare subito a casa.
La decisione messa in preventivo dai capi di M5S non ha un valore solo a uso interno, ha una forte rilevanza politica e lascia intuire quale sia la strategia dei grillini e quali effetti possa provocare sui destini della legislatura: i Cinque Stelle si predispongono a un nuovo voto, che non vuol dire necessariamente puntare già alle urne, ma prepararsi a un’eventualità tutt’altro che remota. E che preferirebbero piuttosto di restare invischiati nei giochi di Palazzo. Di Maio è consapevole che il capo dello Stato lavorerà quantomeno per chiudere le finestre elettorali di mezza estate e di inizio autunno. Ma c’è un limite oltre il quale il leader grillino non può andare per non veder compromessi gli obiettivi personali e di partito.
Così gioca al rilancio, e preventivando il blocco delle «parlamentarie» fa capire di esser pronto a puntare tutta la posta conquistata il 4 marzo: è un messaggio a suoi deputati e senatori — posti al riparo dalla «caccia» — ed è una sfida agli avversari proiettata verso una prossima, ipotetica legislatura. Senza tuttavia perdere di vista quella che nemmeno è cominciata: le manovre sono in corso, in palio ci sono intanto le presidenze delle Camere. Ieri sera Di Maio si è sentito con Salvini, dopo che entrambi hanno pubblicamente lanciato segnali convergenti a Pd e Forza Italia, che sono le rispettive controparti: «Le cariche istituzionali non rientrano nelle dinamiche politiche», preannuncio di una possibile spartizione delle due poltrone.
Niente però può darsi per scontato e da giorni Di Battista esorta il gruppo dirigente grillino a vigilare: «Stiamo attenti a come ci muoviamo. Dobbiamo conquistare una presidenza». Non è (solo) per una logica di potere. È anche perché questo rappresenta il primo banco di prova nel Palazzo agli occhi del Paese. Non a caso il capo dei movimentisti l’ha sottolineato: «Se ne restiamo fuori diranno che ci siamo fatti fregare, nonostante abbiamo i gruppi più numerosi in Parlamento». C’è da tutelare l’immagine, insomma. Ma il potere comunque c’entra, eccome: le presidenze delle Camere non hanno solo un enorme valore istituzionale, sono la porta di ingresso nella stanza dei bottoni, crocevia nelle scelte di alcune delicate authority.
Per ora Di Maio e Salvini hanno in mano il gioco. Il capo della Lega, dopo aver conquistato nelle urne la leadership del centrodestra, al vertice dell’altra sera si è fatto consegnare da Berlusconi anche il ruolo di «regista» della coalizione. Il Cavaliere è all’angolo e la gran parte dei dirigenti di Forza Italia — al pari del ministro democrat Franceschini — teme che i due stiano spingendo «per andare al più presto alle elezioni». Si vedrà se nello sviluppo della sfida i maggiorenti di M5S e Carroccio saranno capaci di mantenere il vantaggio di posizione. E se addirittura le loro relazioni potranno sfociare in un’intesa di governo: «Se me lo avessi chiesto una settimana fa — ha confidato il leghista Giorgetti a un suo interlocutore — avrei risposto di no. Adesso non sarei così netto».
Sarà stata una mossa tattica, un modo per atterrire gli alleati, è certo però che nella notte dello scrutinio elettorale i dirigenti dei Cinque Stelle hanno iniziato a discutere di Lega nella loro «war room»: così hanno ribattezzato la stanza delle riunioni, è questo il nome dato alla chat attraverso la quale comunicano riservatamente. Sono momenti frenetici per il Movimento, alle prese con un complicato rompicapo. E certo in questa fase nessuno aveva messo in preventivo che qualche «problemino» gli sarebbe arrivato dall’interno.
Perché un conto è stato l’appello di Grillo a non fare «inciuci» nel giorno in cui Di Maio festeggiava il risultato elettorale. Un conto è stato, qualche giorno dopo, il video con cui sempre Grillo ha fatto il verso a Mattarella, giocando con la sabbia in riva al mare e mimando «tutti i conti del Presidente» per mettere insieme una maggioranza di governo. Un altro conto ancora è stata l’idea — ancora di Grillo — di aprire all’olimpiade a Torino, provocando la spaccatura del gruppo consiliare Cinque Stelle. Non proprio una mano d’aiuto del «fondatore» al «prescelto»...
La Lega
Giorgetti: un’intesa con i 5 Stelle? Avrei detto di no, ora non sarei così netto