Ambasciate, sicari clandestini e agenti «legali»: le (diverse) vite delle spie
Il Signore parlò a Mosè e disse: «Invia uomini che possano perlustrare la terra di Canaan…manderai uomini provenienti da tutte le tribù… di cui ognuno di loro sarà un principe». E quel principe potrà essere una spia. Lezione antica ripetuta da chiunque abbia la necessità di ficcare il naso in un Paese.
Il ruolo del principe è passato talvolta al diplomatico, copertura classica quanto scontata. Ha un incarico «pubblico», è accreditato nella capitale ospite, entra con i documenti in regola. All’occorrenza è sacrificabile. La premier britannica May ha dato l’esempio mettendo alla porta 23 russi, stessa cosa aveva fatto Obama. Mosse che però non incidono sulla struttura più preziosa, quella clandestina.
L’ambasciata russa — ma questo vale per qualsiasi Stato — è un avamposto. All’interno c’è il rappresentante dei servizi con i suoi collaboratori. Di solito sono conosciuti. Le controparti li incontrano ai ricevimenti, alle cerimonie. I loro nomi sono schedati così come le auto e le abitazioni. Svolgono missioni importanti e sono il volto noto. Troppo noto.
Uno dei traditori più famosi della Cia, Aldrich Ames, quando era stato inviato a Roma aveva contatti regolari con un «diplomatico» russo. I nostri se ne erano accorti, però pensavano che l’americano stesse arruolando l’avversario. Un incredibile
gioco di specchi. Per molto tempo l’fbi ha mantenuto una postazione fissa davanti all’ambasciata russa a Washington. Una casetta anonima, con una luce fioca sempre accesa sotto il portico, e un finestrone parzialmente coperto da una tenda. All’interno pare ci fossero apparati fotografici per «schedare» chiunque entrasse o uscisse dagli uffici.
Gli «ufficiali» camminano sul filo, sanno di essere pedinati, si limitano ad un lavoro di cucitura e influenza. Il diplomatico-spia può agganciare un politico, il manager, l’esperto. Offrono viaggi di studio, magari accompagnati da una vacanza. Leggono molto, se ne hanno voglia. Scartabellano rapporti e ne scrivono altrettanti. A volte devono occuparsi dei «transiti». «Arrivavano falegnami e elettricisti da Mosca — ricorda un ex agente del controspionaggio italiano — Dovevano eseguire lavori saltuari. In realtà alcuni erano 007». Non rispondevano, però, al «residente», il capo. Di solito c’era e c’è un’altra figura all’esterno, protetta da un lavoro rispettabile. Magari con un’identità rubata ad un neonato morto chissà dove. Nel 2016 hanno arrestato in un bar di Trastevere Frederico Carvalhão Gil elemento dell’intelligence portoghese che stava passando materiale Nato ad un russo. Si erano conosciuti a Madrid dove il contatto svolgeva funzioni consolari. Sull’altra sponda è andata male ad un uomo della Cia fermato a Mosca con una goffa parrucca. Incerti del secondo mestiere più antico del mondo. Che riserva sempre sorprese. In passato si è sospettato che un regime mediorientale abbia gestito operazioni in Italia dalla rappresentanza in Vaticano.
Queste, però, sono le briciole. Il lavoro pesante spetta agli «illegali» a volte pronti a servirsi di figure ambigue, sicari. Sergej Skripar si è trasferito in Gran Bretagna dopo essere stato scambiato con una decina di spie russe che vivevano come americani, con mogli e figli, negli Stati Uniti. Esistenze perfette studiate per infiltrarsi non in una base militare ma a Wall Street. È ciò che è toccato a Anna Chapman. Sveglia e disinibita come «il passero rosso» raccontato nel film (brutto) con Jennifer Lawrence. Per alcuni il dopo è stato traumatico. L’esule e la figlia contaminati. Per Anna è stato l’inizio di una nuova vita, senza maschera.
Sotto copertura
Spesso c’è una figura all’esterno protetta da un lavoro rispettabile e un’identità rubata
Errori
Un uomo della Cia è stato fermato per le vie di Mosca con una goffa parrucca