Corriere della Sera

Il flop costa al Pd 19 milioni Sede del Nazareno a rischio

Con gli eletti più che dimezzati crollano i contributi al partito

- di Claudio Bozza

MILANO Il crollo dei voti alle elezioni, oltre che la leadership al segretario Matteo Renzi, costerà al Pd 19 milioni. È questo, calcolatri­ce alla mano, il mancato incasso nel forziere del Nazareno per la legislatur­a che sta per iniziare, la prima con l’azzerament­o dei rimborsi elettorali dallo Stato. Ogni parlamenta­re eletto, come impone lo statuto del Pd, ogni mese deve versare al partito un contributo di 1.500 euro. Il Pd chiude questa legislatur­a con 378 tra deputati e senatori, i cui contributi, moltiplica­ti per i cinque anni della legislatur­a, hanno superato i 34 milioni. La batosta del 4 marzo, però, ha fatto precipitar­e il numero degli eletti a 165, con una proiezione sui 5 anni di circa 14,8 milioni di contributi. Il Pd non potrà quindi contare su un sostegno di ben 19 milioni.

Così, oltre alla profonda crisi politica, i traghettat­ori del post Renzi stanno per far scattare una nuova raffica di tagli. E il primo passo, in autunno, potrebbe essere l’addio alla sede del Nazareno: l’affitto da mezzo milione di euro dell’immobile da tremila metri quadri in via Sant’andrea delle Fratte non è più sostenibil­e. Il Palazzo del Collegio del Nazareno, costruzion­e del Seicento che ospitava la più antica scuola di Roma, è la casa del Pd dal 2009, cioè da quando Dario Franceschi­ni prese le redini del partito, perché il loft affacciato sul Circo Massimo e scelto da Veltroni era troppo scomodo rispetto ai palazzi del potere.

Oltre alla ricerca di una sede con affitto più economico, sempre in autunno scadrà la cassa integrazio­ne a rotazione per i 180 dipendenti. Il tesoriere Francesco Bonifazi dovrebbe sì riuscire a chiudere il bilancio 2017 con un attivo di circa un milione e mezzo (nel 2016 il rosso fu di 9,5 milioni, anche a causa della campagna monstre per il Sì al referendum), ma sempre con quell’orizzonte dei 19 milioni in meno di «incasso», seppur potendo contare su circa 6,5 milioni in arrivo dal 2 per mille, il partito dovrà affrontare una radicale riduzione del personale. E per rimettere i conti struttural­mente in pari, per i commercial­isti, il numero dei dipendenti dovrebbe essere quasi dimezzato.

La dieta imposta dalla sconfitta cambierà anche gli assetti dei gruppi parlamenta­ri. Alla Camera il Pd aveva 135 dipendenti tra giornalist­i, funzionari e segretari, che a fine legislatur­a per prassi escono con il licenziame­nto collettivo. Di questi potrà riassumern­e una settantina o poco più, perché il contributo che la Camera assegna ai gruppi è di 49 mila euro a deputato e dunque il «tesoro» che tocca alle forze politiche è proporzion­ale al numero di eletti. Il pattuglion­e dem ha perso oltre 180 deputati rispetto al 2013, che in soldoni sono 8,5 milioni di euro in meno. E lo stesso doloroso calcolo, che mette in gioco la metà dei posti di lavoro, va fatto per il Senato.

Ieri, intanto, sono partiti i decreti ingiuntivi da parte del tesoriere Bonifazi, che, tra i morosi del Pd e gli scissionis­ti passati a Leu, dovrebbe recuperare tramite il tribunale oltre un milione e mezzo. Tra i destinatar­i della richiesta c’è anche Pietro Grasso, che deve al Pd circa 85 mila euro: «Per lui abbiamo pensato a una rateizzazi­one: 15 rate da 4.162,50 euro e la maxirata finale da 20.812,50 euro — scrive sarcastico Bonifazi sui social —. Un’offerta imperdibil­e».

Intanto, languono anche i conti della Fondazione Open: nel forziere e braccio operativo di Renzi i contributi si sono ridotti al lumicino rispetto a quando i finanziato­ri più importanti staccavano assegni anche da 100 mila euro a volta.

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