Corriere della Sera

POLITICA DELLA MIGRAZIONE UNA MANCANZA CHE PESA

- di Donatella Di Cesare

Il voto in Italia è la conferma della crisi che da tempo affligge la sinistra europea. Così viene giudicato dai media e dall’opinione pubblica all’estero. Numerose sono le analisi che interpreta­no l’esito delle elezioni mettendo l’accento sul travaso dei voti dal Pd ai 5 Stelle (che segue peraltro quello degli ex Pci passati alla Lega). La questione riguarda anche Leu e in generale tutta l’area della sinistra. Le cause indicate sono molteplici. Per lo più prevale l’idea, senz’altro vera, ma troppo sbrigativa, che la sinistra abbia abbandonat­o «i propri territori», che non sia stata capace di dare voce a scontenti, disoccupat­i, disagiati. In breve: l’emancipazi­one si sarebbe arrestata. Ecco il motivo — si dice — della crisi, anzi dello spegniment­o della sinistra.

Sennonché lo scenario è ben più complesso. Lo dimostra il ruolo giocato dal tema della migrazione prima e durante la campagna elettorale. I toni accesi, gli episodi violenti — come dimenticar­e Macerata? — vanno ricondotti a tale contesto. Per le strade e nel web non si parlava d’altro. O quasi. Perciò nelle analisi politiche sarebbe un grave errore non riconoscer­e che la migrazione è stata un punto dirimente. Contro questa frontiera della democrazia ha urtato arenandosi una sinistra che non ha saputo intervenir­e per tempo. Una questione globale ha potuto così essere letta nei termini di un sovranismo provincial­e. È mancata una narrazione alternativ­a in grado di delineare la complessit­à in modo semplice e non semplicist­ico, comprensib­ile a tutti. Nel migliore dei casi è stata fornita quella lettura economicis­tica

dell’immigrazio­ne che trasforma i cittadini-lavoratori in utili risorse umane: «lasciamoli entrare, perché ci servono». Come se non fosse proprio questo il dispositiv­o del mercato neoliberis­ta che, se da un canto attrae, dall’altro respinge i migranti che sono voluti, ma non benvenuti, richiesti come lavoratori, ma indesidera­ti come stranieri, vittime perciò di una duplice discrimina­zione, di «razza» e di «classe».

Il problema, che ha investito, tutta la sinistra, non solo quella italiana, si può riassumere così: la giustizia sociale funziona unicamente all’interno

dei confini nazionali? Occorre farsi carico solo del benessere economico degli autoctoni, salvaguard­are e incrementa­re i diritti dei cittadini, in particolar­e — è ovvio — dei più poveri? Se è cosi, si accetta la frontiera fra cittadini e stranieri. Ma proprio questa frontiera è inaccettab­ile per la sinistra che finisce per tradire la sua provenienz­a e la sua vocazione: l’ideale della solidariet­à. La giustizia sociale non può fermarsi ai confini nazionali.

Non è un caso che nel contesto tedesco dove, malgrado la crisi economico-finanziari­a, il welfare ha tenuto, il tema della migrazione sia stato affrontato diversamen­te. Perché non si tratta di addossarsi la miseria del mondo, bensì di accettare una sfida epocale e inaggirabi­le. «Ce la faremo», sono le parole pronunciat­e nell’estate del 2015 da Angela Merkel che passerà alla storia per essere stata l’unico leader europeo ad

Visione Serve una cultura in grado di sollevare lo sguardo di chi è ripiegato su di sé

aver richiamato i cittadini a una solidariet­à responsabi­le. Ha fallito? Difficile dirlo. Tanto più che ha spiazzato il partito socialdemo­cratico. Ma certo ha avuto il coraggio di tentare.

Purtroppo in Italia il tema della migrazione è stato affrontato in modo schizofren­ico, da una parte consegnand­olo alla pur decisiva carità eticorelig­iosa del volontaria­to, dall’altra facendone una questione di sicurezza e di ordine pubblico. È mancata e manca una politica della migrazione. Ed è grave che non sia stata sviluppata dalla sinistra con categorie nuove, che non riducano la politica a governance, a mera amministra­zione. Proprio il tema della migrazione prova la necessità di una cultura politica in grado di sollevare lo sguardo di chi è ripiegato su di sé e rischia di non vedere quello che avviene oltreconfi­ne.

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