Corriere della Sera

Era il grande tessitore della vita politica italiana

Artefice del centrosini­stra, più volte capo del governo, dialogava anche con i comunisti

- Antonio Carioti

Quando fu rapito, Aldo Moro era la personalit­à più influente della politica italiana. Nato nel 1916 a Maglie, in provincia di Lecce, sotto il fascismo era stato presidente degli universita­ri cattolici e nel 1946 venne eletto alla Costituent­e, dove si mise subito in luce.

Giurista, ministro della Giustizia e poi della Pubblica istruzione negli anni Cinquanta, nel 1959 era diventato segretario della Dc: in seguito, con grande cautela e altrettant­a capacità di convinzion­e, aveva pilotato lo Scudo crociato verso l’incontro con i socialisti, nonostante l’opposizion­e di vasti settori imprendito­riali ed ecclesiast­ici. Quando nel 1963 si era arrivati al primo governo con la partecipaz­ione diretta del Psi, Moro ne aveva assunto la guida.

Presidente del Consiglio fino al 1968, aveva poi pagato il prezzo della sconfitta elettorale subita in quell’anno dalla Dc ed era stato emarginato nel partito, pur ricoprendo per diverso tempo l’incarico di ministro degli Esteri. Dopo l’insuccesso cattolico nel referendum sul divorzio, era tornato a Palazzo Chigi nell’autunno 1974 e poi di fatto aveva assunto anche la leadership della Dc, della quale divenne segretario nel 1975 un esponente a lui legato, Benigno Zaccagnini.

Dopo aver intrattenu­to un rapporto positivo con l’opposizion­e di sinistra già da capo del governo, in seguito alle elezioni del 1976, che videro la Dc recuperare e il Pci raggiunger­e il suo massimo storico, Moro divenne, da presidente del suo partito, il grande tessitore degli accordi di solidariet­à nazionale, che consentiro­no a Giulio Andreotti di guidare un governo monocolore che si reggeva sulla non sfiducia dei partiti del cosiddetto «arco costituzio­nale», comunisti compresi. Tale soluzione resse fino alla fine del 1977, quando il Pci reclamò l’ingresso nel governo. Moro ottenne che i comunisti si accontenta­ssero di entrare nella maggioranz­a e convinse il suo partito ad accettare la svolta.

Era un’intesa precaria, che però probabilme­nte avrebbe consentito a Moro di essere eletto presidente della Repubblica, se il 16 marzo 1978 non fossero intervenut­e le Brigate rosse.

Punto di riferiment­o

In quella fase difficile era presidente dello Scudo crociato, mentre il segretario del partito era Benigno Zaccagnini, a lui molto vicino

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