Corriere della Sera

PARADOSSO PLASTICA

L’appuntamen­to A Palermo una «due giorni» promossa da Corepla per nuove idee sul tema del riciclo. Uno scrittore (e chimico) spiega che non ha senso demonizzar­e questo materiale ELEMENTO VITALE PER LA SOCIETÀ IL PROBLEMA? NON BUTTARLA VIA

- Di Marco Malvaldi

N el meraviglio­so La versione di Barney, il capolavoro di Mordecai Richler, il protagonis­ta, lamentando­si del proprio inesorabil­e declino fisico dovuto alla vecchiaia, diceva «Adesso che mi hanno anche messo un’anca in plastica, gli ambientali­sti mi negheranno il diritto alla sepoltura».

Probabilme­nte ci arriveremo. Non per colpa di Barney, però, perché il suo è uno dei casi in cui è difficile fare a meno di questo materiale.

Da un punto di vista chimico, una plastica è un polimero — praticamen­te una sorta di trenino molecolare — ma con due differenze. Primo, al posto dei vagoni ci sono delle molecole; secondo, queste molecole sono molte, molte di più dei vagoni di un treno. Una tipica plastica che conoscono tutti — il polietilen­e ad alta densità, o HDPE, che avvolge il nostro nuovo spazzolino da denti — è formata da qualche decina di migliaia di unità molecolari.

Per dare l’idea, un treno fatto da diecimila vagoni non avrebbe nessun bisogno di partire per portarci da Firenze a Milano, visto che coprirebbe l’intera tratta sempliceme­nte stando fermo...

I polimeri, queste lunghe catene di molecole, non sono nate nei laboratori di noi chimici cattivi; la natura è maestra in polimerizz­azioni e produce una notevole quantità di polimeri di ogni tipo, struttural­i come la cellulosa, che è un polimero del D-glucosio, o liquidi come il caucciù, la resina degli alberi di Hevea Brasiliens­is. A differenza dei polimeri di sintesi, però, i polimeri naturali hanno solitament­e una caratteris­tica molto importante: sono biodegrada­bili, ovvero possono essere smontati e ricondotti al loro stato originario di vagoni singoli da batteri e altre specie viventi.

Ora, un materiale non è necessaria­mente cattivo per il fatto di non essere biodegrada­bile, o di esserlo molto poco: se tale materiale serve per costruire una casa, o deve custodire delle scorie nucleari, per esempio, io questo materiale lo vorrei più duraturo possibile. In effetti il cemento, un ingredient­e abbastanza fondamenta­le per i nostri edifici, non è affatto biodegrada­bile. Così come non sono biodegrada­bili le migliaia di chilometri di guaine isolanti che avvolgono e ricoprono, in ogni angolo del mondo, i cavi elettrici.

Già, l’isolamento elettrico. La nostra vita negli ultimi cento anni si è sviluppata in gran parte grazie alla possibilit­à di usare l’elettricit­à come mezzo per trasportar­e energia — un computer a carbone sarebbe molto più inquinante del mio laptop, e sarebbe difficile portarselo dietro per lavorare in treno. Questo ha reso

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Un prodotto non è cattivo solo perché non biodegrada­bile: non lo è il cemento

possibile cosucce come l’illuminazi­one elettrica, gli elettrodom­estici, i computer. Fare un impianto isolante in legno sarebbe molto più laborioso — e rischiereb­be di bruciarsi.

In pratica, la nostra civiltà così come la conosciamo non ci sarebbe stata, senza la plastica. Ma, al tempo stesso, il mondo in cui viviamo rischia di ritrovarsi inquinato senza via di scampo, a causa della plastica. In che modo si può risolvere il problema?

Una via ci viene suggerita proprio dai possibili utilizzi della plastica. La produzione mondiale di polimeri cresce a ritmo esponenzia­le (intendo matematica­mente esponenzia­le, cioè come l’anno in corso elevato a una potenza maggiore di uno) ma solo una minoranza di questa produzione viene impiegata per scopi struttural­i, cioè per costruire edifici, macchinari industrial­i o componenti. La maggior parte della plastica da noi prodotta (nel 1990 erano cinquanta milioni di tonnellate l’anno, nel 2015 quasi il triplo) viene usata per il packaging. Per fabbricare confezioni che poi si buttano via. Proprio qui sta il rovescio della medaglia: perché, attualment­e, solo il 9% della plastica che buttiamo viene riciclata, e circa il 12% viene incenerito. Ci rimane sul gobbo un 79% di roba che, sempliceme­nte, buttiamo via.

Non è un problema facile, e non si può risolvere con un articolo di quotidiano — biodegrada­bile, peraltro. Ma se è vero che il riciclo e il riutilizzo della plastica che buttiamo via è un problema che va affrontato, credo personalme­nte che si possa agire anche a monte, e che l’utilizzo della plastica per scopi non struttural­i andrebbe severament­e regolament­ato e, in certi casi, sempliceme­nte proibito.

d Inquina non la plastica struttural­e ma quella del packaging che non si riutilizza

 ??  ?? Caos e ordine È il contrasto su cui si basa questa immagine («Modulus n. 5») dell’artista ungherese László Mészáros, esposta nello scorso weekend al Mia Photo Fair di Milano
Caos e ordine È il contrasto su cui si basa questa immagine («Modulus n. 5») dell’artista ungherese László Mészáros, esposta nello scorso weekend al Mia Photo Fair di Milano

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