Poulenc mistico: note intense e gesti simbolici
Nicola Sani si è dimesso dalla guida del Teatro Comunale di Bologna ma ha lasciato una stagione che, se prosegue come è iniziata, ha l’aria di restare agli Annali come punto fermo. Dopo La bohème di Mariotti/ Vick ecco ora in scena (fino a domani) un’edizione dei Dialogues des Carmélites (Dialoghi delle Carmelitane) di Francis Poulenc di altissimo livello, almeno per la messinscena. È quella che Olivier Py confezionò per Londra e Parigi: spettacolo intenso, fatti di gestualità lente e ieratiche, simboliche come tableau vivant, fissate entro un severo quadro scenografico di muraglioni grigio cemento. Ogni scena è un’immagine forte, specchio fedele dell’alta densità filosofica del superbo libretto ispirato a Bernanos.
Ammalia anche la musica in quest’opera. Ti risucchia nelle sue stagnanti acque paludose che rievocano il «motore immobile» debussiano — pur senza quel genio — ma se ne distanziano in nome di un arcaismo ancor più esibito. Dal podio Jérémie Rhorer le confeziona con sensibilità, ma gli scappano di mano vari dettagli: gli ottoni più «sparati» del necessario, alcuni fraseggi un po’ mesti, l’equilibrio a tratti faticoso tra buca e palco. Ciò avviene perché il cast è formato da interpreti centrati stilisticamente ma dalla voce piccola. Hélène Guilmette, la pur brava protagonista, forza gli acuti come fanno le voci piccole che faticano a farsi udire nei toni medio-gravi. Piccola ma perfetta invece la voce di Sandrine Piau. Bene Sylvie Brunet, bene assai Sophie Koch. Attenzione a mille nella recita, tantissimi applausi poi.