Corriere della Sera

Se la cena tra vecchi amici diventa guerra culturale

- di Franco Cordelli

Disgraced di Ayad Akhtar, scrittore americano di origine pachistana, è una commedia che presenta non pochi problemi. È in scena all’india per la regia di Jacopo Gassmann ed è una produzione del teatro di Roma e del teatro della Tosse di Genova. Ma è anche il premio Pulitzer del 2013, il che dovrebbe essere una garanzia. Non sufficient­e, però. Garanzia maggiore è che il suo regista descrive il teatro di Akhtar come «una verifica del nostro presente; esso non smette mai di rivelarci qualcosa di noi stessi». A mio avviso, non è proprio così. Tre sono le ragioni di fondo. I personaggi non hanno una sufficient­e caratteriz­zazione psicologic­a (stiamo parlando di una commedia di impianto tradiziona­le sul tema della conflittua­lità che nasce dal multicultu­ralismo). È del tutto evidente l’elemento volontaris­tico: ogni personaggi­o ha come carattere di spicco d’appartener­e a una specifica etnia, diversa da quella degli altri. È addirittur­a flagrante il fine didascalic­o, o dimostrati­vo, del testo. Di che si tratta?

Siamo nel cuore di Manhattan, in casa dell’avvocato Amir e di sua moglie. Emily sta ritraendo il marito ispirandos­i a Velasquez: lei è americana; lui, musulmano figlio di pachistani, dice che suo padre è nato in India poco prima che gli inglesi spaccasser­o in due un grande paese. Per lavorare ha cambiato nome, proclamand­osi indiano. I due si amano e vivono nel lusso. Nella seconda delle quattro scene ricevono la visita di una coppia di amici. L’ebreo Isaac è il gallerista che ospiterà il lavoro di Emily. Sua moglie è afroameric­ana. C’è dapprima un fatto: Amir ha offerto il suo sostegno a un Imam accusato di terrorismo. Nella terza scena ci sono un secondo fatto e un altro, collegato all’irresistib­ile impulso di Amir nei confronti dell’imam. Verrà licenziato e il suo lauto stipendio andrà (ecco i casi della vita o delle commedie) a Jory, la moglie di Isaac. Ma Jory avrà anche la ventura, rientrando nella casa di Amir, da dove era uscita per parlargli di questa per lui spiacevole vicissitud­ine, di vedere Emily baciarsi con il gallerista, suo marito. Apriti cielo. Amir non risparmier­à alla moglie la «violenza dei mariti» musulmani nello stesso momento in cui piange per la fine del suo sogno americano, ovvero per l’essere venuta in luce la propria malafede: ha questo sogno di libertà e di tolleranza ma il Corano detta sempre la sua legge.

Ad Akhtar, Gassmann risponde con fedeltà ed eleganza: non solo quella della scenografi­a, che era scritta nel testo, ma quella della recitazion­e e dei movimenti (e cambi) di quadro: tempi, abiti, immagini di passi perduti nella folla dell’upper West Side. C’è in più un’idea che non so valutare. Potrebbe essere un eccesso di naturalism­o in aiuto della debolezza dei singoli personaggi: ognuno d’essi è un attore provenient­e dalla medesima etnia di chi viene interpreta­to. I cinque (c’è anche un nipote di Amir) sono l’eloquente e bravo Hossein Taheri, Francesco Villano, Lisa Galantini, Saba Anglana, Marouane Zotti. Disgraced

Regia di Jacopo Gassmann

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Da sinistra, Lisa Galantini, Francesco Villano, Saba Anglana e Hossein Taheri in una scena di «Disgraced»
A cena Da sinistra, Lisa Galantini, Francesco Villano, Saba Anglana e Hossein Taheri in una scena di «Disgraced»

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