Kruger in cerca di giustizia contro i mali del terrorismo
Il nuovo film del 44enne autore turco di Amburgo ci porta nell’epicentro morale di quella sensazione internazionale d’attualità che è paura generica per un terrorismo frutto di razzismo, xenofobia, omofobia, odio tout court in un mondo sempre sull’orlo di tragedie.
Vive in diretta il terrore Katja, donna tedesca che vede figlio e marito di origine curda saltare in aria per una bomba. Seguendo le piste di fatti davvero avvenuti, tornano così i criminali attentati neonazisti del gruppo Nsu commessi tra il 2000 e il 2007 ma passati in sentenza nel 2011. Lo scandalo è che tutti, dalla stampa alla polizia, facilitarono nella opinione pubblica l’idea che si trattava di turkish connection, rese di conti di immigrati. Il film di Fatih Akin inquadra il dolore di Diane Kruger, bravissima nella misura interiore nel trasmetterci dubbio e disperazione, desiderio di vendetta e perdono, dovendo difendersi da accuse che minano la sua credibilità.
Lasciata sola dalla giustizia ma protetta da un avvocato che vuol continuare la battaglia, dovrà scegliere cos’è meglio per lei e il futuro morale del mondo. Dall’action al court movie, un po’ prolisso prima del teso finale, il film (Golden globe come titolo straniero) si destreggia, in equilibrio alterno, in tre capitoli sull’elaborazione del lutto e sul conflitto tra le proprie ragioni e le leggi di uno stato che dovrebbe difenderle, trascinando la suspense in un finale che ti obbliga ad usare testa e pancia, da non confondere con i vari giustizieri in giro sugli schermi.