Con Ulisse dentro l’anima ferita
I tradimenti e gli egoismi altrui, le delusioni, tutto: «Cuore, sopporta». Ma poi si rinasce
Cuore, sopporta, il titolo del romanzo di Francesca d’aloja in uscita martedì 20 da Mondadori, riprende un passo dell’odissea in cui Ulisse rimprovera il suo cuore, «comprimendo il petto»: «Sopporta, cuore: più atroce pena subisti/ il giorno che l’indomabile, pazzo Ciclope mangiava/ i miei compagni gagliardi, e tu subisti, fin che l’astuzia/ ti liberò da quell’antro, che già di morire credevi». Le «atroci pene», in questo romanzo sono i tormenti della disillusione, non sono però i colpi patiti da un gigante con un occhio solo da cui solo l’astuto Ulisse sarà in grado di liberarci. Ma i dolori dell’abbandono, del tradimento, dei comportamenti crudeli delle persone che ti sono care e che invece ti infliggono i supplizi dell’umiliazione, scappano, ti pugnalano alle spalle, fanno a brandelli i cuori costretti a sopportare.
C’è tanta fame di spiritualità, in queste pagine così sofferenti, c’è il Libro tibetano dei morti, c’è la ricerca misticheggiante nella disperazione attorno e dentro il Gange, il tempio romano di Cibele dove si celebrava il culto delle divinità femminili, spesso «associate a pietre nere». Ma c’è anche tanta crudeltà basica, quasi naturale, irriflessa. Una specie di movimento goffo per sopravvivere menando colpi senza pietà a chi ha il solo torto di voler bene, spesso con ingenuità e trasporto, imprudentemente però, perché sulla strada di una condizione auspicabilmente felice c’è il pozzo dell’infelicità dove si rischia ogni giorno di annegare, senza nemmeno accorgersene.
Adele, la protagonista, ha il torto di abbandonarsi, di fidarsi, di distruggere le barriere difensive che, al momento opportuno, potranno attutire i colpi che le verranno inferti, soprattutto se inattesi. Il suo è un percorso di progressivo ma inesorabile smantellamento delle trincee che le servono per tenersi in equilibrio per non esporsi troppo alle offensive del nemico. Che poi il nemico, o meglio i nemici peradele
Istinti
Nelle pagine si trova tanta crudeltà quasi naturale, irriflessa. Una specie di movimento goffo per sopravvivere
ché qui sono almeno due, non si presentano intabarrati nelle loro divise conosciute, e proprio perché conosciute anche rassicuranti, non sono figure riconoscibili che è meglio tenere a debita distanza. Sono le persone su cui si sono riversati gli affetti, e gli amori, più profondi. E che si presentano carichi di una loro debolezza che chiama al soccorso chi si offre con più generosità e invece resterà schiacciato dai deboli destinati a rivelarsi i più forti. E nemmeno forti perché carichi di un’energia straripante. Ma forti del loro infinito e disperato egoismo, per affermare con prepotenza cieca un atto di supremazia, o semplicemente un esserci. Perché altrimenti Nina, la sorella di Adele, e Thomas, presentato come il ragazzo «con un viso da apostolo», dovrebbero accanirsi così tanto su una protagonista che in fondo non chiede molto da loro, non è invasiva, non è particolarmente esigente e invece verrà colpita con particolare forza: «Cuore, sopporta», anche l’insopportabile, il tradimento più atroce, e il distacco della morte, l’impossibilità di una riconciliazione, la lunga e tormentata strada del perdono.
Adele cercherà di riconnettersi con il mondo e con la vita al termine di un itinerario di dolore e di solitudine. Il rifugio di una casa in pineta, liberata però dalle incrostazioni dei ricordi familiari. Una nuova amicizia, che però non eviterà sorprese e anche delusioni. Una lunga nuotata, a bracciate lente e costanti, una nuotata che scaccia i pensieri più cupi, libera la mente dai fantasmi che la opprimono. E poi una presenza fantasmatica, qualcosa di tenero e inquietante insieme, un bambino che non si sa da dove venga, chi sia, che funzione svolga. Ma questa presenza ricondurrà su una via diversa da quella imboccata prima del grande trauma. Più di un lavoro non amato, più di un’amicizia mai chiara. Più del mare e della pineta in cui reimmergersi per ritrovare forza, coraggio, se non speranza, perché quella forse è svanita per sempre.
Francesca d’aloja, però, è troppo spiritosa e persino sarcastica con i suoi personaggi per cadere nel sentimentalismo o nel misticismo del dolore. A lei piace addentrarsi nei meandri dei pensieri e delle insopportazioni che rendono saporita e difficile la vita. Purché la vita non diventi troppo difficile, finché la sorpresa dolorosa svuoterà di senso tutta la vita precedente. «Alla fine tutto, ma proprio tutto, è soltanto una questione di tempo», cosi si conclude Cuore, sopporta. Ulisse parlava, dando termine a quel passo dell’odissea che dà il titolo al romanzo di Francesca d’aloja, «nel petto rimproverando il suo cuore». Il cuore accettava quei rimproveri: è l’unico suo modo per sopportare, anche l’insopportabile.
Ritiro
Il rifugio della protagonista: una casa in pineta, liberata però dalle incrostazioni dei ricordi familiari. Fondamentali le lunghe nuotate