Berlusconi convinto: Matteo con loro fallirà e tornerà da noi
Lo descrivono ancora ROMA abbattuto, ancora deluso per un voto che lo ha visto soccombere e cedere lo scettro del centrodestra all’alleato-rivale Matteo Salvini. Silvio Berlusconi continua a rimanere al margine delle trattative per presidenze delle Camere e governo. «Sta aspettando che Salvini e Di Maio facciano i loro tentativi, quando falliranno — perché falliranno — allora scenderà in campo lui», dice qualcuno fra i fedelissimi. In tanti non credono però ad una strategia precisa, in tanti pensano che quello che sta accadendo possa portare alla «dissoluzione di Forza Italia». Perché la tenaglia nella quale gli azzurri si sentono stretti in questi giorni mette paura: da una parte Salvini, al quale si è affidato quasi per inerzia un compito totalizzante, quello di rappresentare le istanze di tutto il centrodestra; dall’altra il sospetto che è quasi certezza che il leader della Lega ne approfitterà per fagocitare FI, alle sue condizioni.
«Se una delle due Camere non va a FI o al Pd, è una legislatura morta. E saranno Salvini e Di Maio a decidere quando e come si tornerà a votare, sulla base dei loro interessi», si lamenta un big azzurro tra i tanti. I problemi sul tavolo sono parecchi. Il primo è appunto un Berlusconi quasi ritirato, «lontano dalla realtà per scelta o per illusione» che, raccontano, un po’ si fa convincere e un po’ si convince che le elezioni sono state perse solo «perché io non ero candidabile», che appunto Di Maio e Salvini finiranno «per fallire, e da me dovranno tornare» e un po’ immagina un futuro intrigante: «Se si torna a votare il prossimo anno, comunque, io sarò candidato premier e cambierà tutto».
«Stiamo ballando fuori tempo», allarga le braccia un ex ministro. E il motivo non è solo l’assenza dalla scena di Berlusconi, ma anche di una figura che dovrebbe rappresentare con voce unica il partito. Quella che tutti hanno, e che in FI «non c’è», è il lamento generale. D’altronde, Niccolò Ghedini non ha mai voluto assumere il ruolo di coordinatore pur avendolo esercitato di fatto negli ultimi due anni e in questi giorni, dopo i dissidi con Gianni Letta e Fedele Confalonieri per le candidature e le liste, è andato a chiedere a Berlusconi che «organizzi il partito». Letta prova a tessere la sua tela, ma gli interlocutori sono cambiati e i rapporti in questa fase, più che istituzionali sono meramente politici e parlamentari, con leader con i quali confidenza e linguaggio comune non ci sono. I capigruppo o sono in prima persona oggetto della trattativa (per la presidenza del Senato) come Romani o vengono ritenuti troppo focosi e litigiosi come Brunetta. E Tajani, che molti e Berlusconi per primo vedrebbero bene come uomo d’unione per il partito, non sembra intenzionato a sacrificare il suo ruolo di presidente del Parlamento Ue. E così la sensazione generale è di essere senza una guida, senza una linea, senza qualcuno che la faccia valere.
Per ora di fatto si gioca solo in difesa: «Senza i nostri numeri non vanno da nessuna parte, se rompono pagheranno le conseguenze», dice Brunetta. Ma tra i suoi colleghi tanti pensano sia una minaccia spuntata: «Cosa possiamo minacciare se sul territorio già cominciamo a perdere pezzi nei confronti della Lega? Dove andiamo da soli, cosa rompiamo?». Tra chi resiste e vorrebbe invece una FI ancora protagonista, più che in casa si comincia a guardare a chi da fuori potrebbe dare una mano. Come Roberto Maroni, che con le sue dichiarazioni di ieri a frenare gli ardori di Salvini e a spronarlo a non rompere il centrodestra e a puntare sull’asse con FI, è visto come un punto di riferimento al quale guardare. E con il quale magari fare asse, se ci fosse qualcuno in grado di raccogliere l’assist e rilanciarlo, prima che il progetto salviniano di una «Lega-italia» che fagocita gli azzurri divenga realtà. Ma c’è qualcuno in FI che voglia o possa farlo?