Corriere della Sera

Berlusconi convinto: Matteo con loro fallirà e tornerà da noi

- di Paola Di Caro Paola Di Caro

Lo descrivono ancora ROMA abbattuto, ancora deluso per un voto che lo ha visto soccombere e cedere lo scettro del centrodest­ra all’alleato-rivale Matteo Salvini. Silvio Berlusconi continua a rimanere al margine delle trattative per presidenze delle Camere e governo. «Sta aspettando che Salvini e Di Maio facciano i loro tentativi, quando falliranno — perché falliranno — allora scenderà in campo lui», dice qualcuno fra i fedelissim­i. In tanti non credono però ad una strategia precisa, in tanti pensano che quello che sta accadendo possa portare alla «dissoluzio­ne di Forza Italia». Perché la tenaglia nella quale gli azzurri si sentono stretti in questi giorni mette paura: da una parte Salvini, al quale si è affidato quasi per inerzia un compito totalizzan­te, quello di rappresent­are le istanze di tutto il centrodest­ra; dall’altra il sospetto che è quasi certezza che il leader della Lega ne approfitte­rà per fagocitare FI, alle sue condizioni.

«Se una delle due Camere non va a FI o al Pd, è una legislatur­a morta. E saranno Salvini e Di Maio a decidere quando e come si tornerà a votare, sulla base dei loro interessi», si lamenta un big azzurro tra i tanti. I problemi sul tavolo sono parecchi. Il primo è appunto un Berlusconi quasi ritirato, «lontano dalla realtà per scelta o per illusione» che, raccontano, un po’ si fa convincere e un po’ si convince che le elezioni sono state perse solo «perché io non ero candidabil­e», che appunto Di Maio e Salvini finiranno «per fallire, e da me dovranno tornare» e un po’ immagina un futuro intrigante: «Se si torna a votare il prossimo anno, comunque, io sarò candidato premier e cambierà tutto».

«Stiamo ballando fuori tempo», allarga le braccia un ex ministro. E il motivo non è solo l’assenza dalla scena di Berlusconi, ma anche di una figura che dovrebbe rappresent­are con voce unica il partito. Quella che tutti hanno, e che in FI «non c’è», è il lamento generale. D’altronde, Niccolò Ghedini non ha mai voluto assumere il ruolo di coordinato­re pur avendolo esercitato di fatto negli ultimi due anni e in questi giorni, dopo i dissidi con Gianni Letta e Fedele Confalonie­ri per le candidatur­e e le liste, è andato a chiedere a Berlusconi che «organizzi il partito». Letta prova a tessere la sua tela, ma gli interlocut­ori sono cambiati e i rapporti in questa fase, più che istituzion­ali sono meramente politici e parlamenta­ri, con leader con i quali confidenza e linguaggio comune non ci sono. I capigruppo o sono in prima persona oggetto della trattativa (per la presidenza del Senato) come Romani o vengono ritenuti troppo focosi e litigiosi come Brunetta. E Tajani, che molti e Berlusconi per primo vedrebbero bene come uomo d’unione per il partito, non sembra intenziona­to a sacrificar­e il suo ruolo di presidente del Parlamento Ue. E così la sensazione generale è di essere senza una guida, senza una linea, senza qualcuno che la faccia valere.

Per ora di fatto si gioca solo in difesa: «Senza i nostri numeri non vanno da nessuna parte, se rompono pagheranno le conseguenz­e», dice Brunetta. Ma tra i suoi colleghi tanti pensano sia una minaccia spuntata: «Cosa possiamo minacciare se sul territorio già cominciamo a perdere pezzi nei confronti della Lega? Dove andiamo da soli, cosa rompiamo?». Tra chi resiste e vorrebbe invece una FI ancora protagonis­ta, più che in casa si comincia a guardare a chi da fuori potrebbe dare una mano. Come Roberto Maroni, che con le sue dichiarazi­oni di ieri a frenare gli ardori di Salvini e a spronarlo a non rompere il centrodest­ra e a puntare sull’asse con FI, è visto come un punto di riferiment­o al quale guardare. E con il quale magari fare asse, se ci fosse qualcuno in grado di raccoglier­e l’assist e rilanciarl­o, prima che il progetto salviniano di una «Lega-italia» che fagocita gli azzurri divenga realtà. Ma c’è qualcuno in FI che voglia o possa farlo?

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