Corriere della Sera

E Washington chiude il dialogo con Pechino sull’economia

- G. Sar.

Gli Stati Uniti si ritirano dal «Programma di dialogo economico con la Cina». È un altro strappo dell’amministra­zione di Donald Trump. Lo ha annunciato il sottosegre­tario al Tesoro, David Malpass, in un convegno a Buenos Aires, dove comincia oggi il G-20 dei ministri finanziari: «Siamo delusi dall’atteggiame­nto del governo cinese. Non vediamo un percorso che li possa portare verso un’economia di mercato e quindi interrompi­amo il dialogo economico con loro».

Più tardi il ministero a Washington ha provato a moderare l’impatto della mossa. Il portavoce Tony Sayegh ha twittato: «Correzione: il Tesoro non ha “dato discontinu­ità” al “Dialogo economico” tra Usa e Cina. Il Segretario Steven Mnuchin terrà frequenti conversazi­oni private con dirigenti di alto livello e noi contiamo che queste conversazi­oni potranno proseguire». Il «Comprehens­ive Economic Dialogue» fu istituito il primo aprile 2009 con un accordo tra Barack Obama e l’allora leader cinese Hu Jintao. L’idea era di attivare un canale di confronto diretto e costante tra le due super potenze economiche del pianeta: la premessa, secondo i piani di Obama, di una migliore cooperazio­ne.

Ma ora il contesto è completame­nte diverso. Trump ha già imposto i dazi su acciaio e alluminio: misure che entrano in vigore il 23 marzo e che intralcera­nno la sovrapprod­uzione cinese. Ma è in arrivo un altro pacchetto di restrizion­i da 30 miliardi di dollari sulle manifattur­e e i prodotti tecnologic­i made in China. Inoltre Washington studia una stretta sui visti per i cittadini cinesi e da tempo sta esaminando eventuali penalità per i furti sui diritti intellettu­ali attribuiti al governo di Pechino.

Il ministro Mnuchin proverà a convincere i colleghi degli altri Stati riuniti nel G-20, industrial­izzati ed emergenti, a far fronte comune contro le «scorrettez­ze» del grande Paese guidato da Xi Jinping. Troverà, però, molta diffidenza e anche qualche aperta ostilità: la linea protezioni­sta «America First» allarma i principali partner d’affari, a cominciare dagli europei.

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